di Francesco Sani*

Per coloro che hanno passato i 40 anni ed erano ventenni nel 2001, il vertice G8 di Genova – momento clou delle manifestazioni contro la globalizzazione neoliberista e il potere delle multinazionali sul Pianeta con conseguenze disastrose su diritti umani, economia e ambiente – è una ferita generazionale. Eppure il ricordo serve a dire a chi ha 20 anni oggi che il mondo post-Genova era stato già previsto: surriscaldamento climatico, privatizzazione dei beni pubblici, crack delle borse, dominio di Big Pharma nei brevetti… Il modello di sviluppo dominante fu denunciato allora. Ma il movimento antagonista venne brutalmente represso dallo Stato in quelle giornate di piazza – come affermato da Amnesty International – in “una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia più recente”.

Lo scenario prima di Genova: dal WTO a Seattle al vertice G8 in Italia

Prima di Genova, il “popolo di Seattle” era apparso con la sua vena contestatrice in altri vertici istituzionali: da Nizza a Praga, da Napoli a Québec City, in un crescendo di forza d’urto delle proteste: a Göteborg la polizia sparò e ferì due dimostranti. La stampa soffiava sul fuoco e alimentò un clima di tensione, quella tedesca addirittura ipotizzò un attentato del terrorismo islamico a Genova. “Siamo al rilancio della strategia della tensione” denunciò il portavoce del Genoa Social Forum (GSF) Vittorio Agnoletto. I servizi segreti italiani erano preoccupati, tuttavia il numero dei partecipanti alla manifestazione indetta dal GSF – raccogliente più di 1.000 associazioni – fu clamorosamente sottostimato.

La morte di Carlo Giuliani e la “macelleria messicana”

Venerdì 20 luglio 2001, al primo giorno del vertice a Palazzo Ducale che riuniva gli otto premier dei paesi più sviluppati del mondo avvengono subito incidenti tra il corteo autorizzato delle “Tute Bianche” e le forze dell’ordine perché in via Tolemaide, i carabinieri effettuano una carica nonostante la Questura non l’avesse ordinato. Fu il primo black out accertato e innescò gli eventi che ebbero il tragico epilogo in piazza Alimonda con la morte di Carlo Giuliani. Anni dopo, nel processo di primo grado, si stabilirà che quella carica dei carabinieri fu illegale.

Il giorno successivo, sabato 21 luglio, gli scontri di piazza diventarono veri e propri tumulti e segnarono la gigantesca manifestazione di 300mila persone. Fu una giornata campale, poi, la notte quando tutto sembrava finito, 200 poliziotti fecero irruzione nel complesso scolastico Diaz sulle tracce dei violenti anarchici black bloc. Il Settimo nucleo, l’ex reparto celere di Roma, con gli agenti delle squadre mobili e della Digos – coadiuvati da uomini in borghese con la pettorina della polizia ma mai individuati – picchiarono selvaggiamente e arrestarono le 93 persone ospitate. Non erano il black bloc e non avevano opposto resistenza, in quell’operazione che il vice questore Michelangelo Fournier in tribunale definirà “una macelleria messicana”. Per il giornalista inglese di Indymedia Mark Covell, gravemente ferito nella circostanza, l’irruzione servì come raid per distruggere materiale video e fotografico raccolto dal GSF, dato che la scuola faceva da media center in quei giorni.

I numerosi processi aperti sulle vicende del 20 e del 21 luglio 2001 si trasformarono in uno scontro tra i magistrati dell’accusa e i massimi vertici della polizia: 10 anni di processi che segnano l’Italia, svelando una parte di verità su quella che è stata definita da Amnesty International “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”.

Una ferita generazionale che ha generato il vuoto politico attuale

A 20 anni dai fatti ricordiamo una repressione di Stato violenta e inspiegabile che provocò la morte di un manifestante, l’arresto arbitrario di altre centinaia – decine dei quali subirono soprusi fisici e verbali nella caserma di Bolzaneto – oltre al già citato episodio del pestaggio degli accampati alla scuola Diaz. A Genova non erano tutti professionisti della guerriglia urbana, ma quest’immagine veicolata da media compiacenti fu il pretesto per la repressione.

I tribunali hanno condannato antagonisti per “devastazione e saccheggio” e membri delle forze dell’ordine per “trattamenti inumani o degradanti”. Ma i vertici dello Stato non presero le distanze da quelle condotte, la catena di comando ritenuta responsabile non fu rimossa. Anzi, ci furono promozioni e nessuna collaborazione: 250 procedimenti, originati da denunce nei confronti di esponenti delle forze dell’ordine per lesioni – il reato di tortura ancora non c’era – furono archiviati per impossibilità di identificare gli agenti responsabili. Gianni De Gennaro, capo della Polizia all’epoca dei fatti, non si è mai scusato per il disastro dell’intervento alla scuola Diaz e la sua carriera è continuata.

L’Italia stessa è finita sotto processo alla Corte Europea dei Diritti Umani e condannata nel 2015 per la gestione dell’ordine pubblico al G8. Il pm Enrico Zucca ha dimostrato che non fu il movimento ad attaccare lo Stato, lasciando nell’opinione pubblica il sospetto di una occulta regia all’opera per distruggerlo – temuto perché univa sempre più persone dalla provenienza ideologica più disparata – e che il comando in piazza in quei giorni prendesse ordini impartiti da chi non sapremo mai.

Conclusione: Italia 2001-2021

Oggi l’Italia reazionaria del 2001 può sembrare una cartolina sbiadita – nel 2017 è entrato nel nostro ordinamento il “reato di tortura” – eppure l’attuale è forse peggiore. Un paese rimasto la retroguardia del neoliberismo, a dimostrazione dell’attualità della critica di chi era a Genova a manifestare con lo slogan un altro mondo è possibile.

*Francesco Sani, laureato in Scienze Politiche, è giornalista pubblicista responsabile di redazione della rivista Firenze Urban Lifestyle. Aveva 22 anni all’epoca dei fatti del G8 e decise di rinunciare alla manifestazione a Genova dopo la notizia della morte di Carlo Giuliani.

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