Quello che volevano far passare per un banale incidente era in realtà un “agguato in stile mafioso, sicuramente innovativo, che in nessun caso può essere ricondotto a dinamiche delinquenziali comuni“. In meno di due mesi, la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha fatto luce sul tentato omicidio ai danni del boss Giorgio Benestare, detto Franco, elemento di spicco della cosca “De Stefano-Tegano” del quartiere di Archi, nel nord della città dello Stretto. Il 26 maggio scorso Benestare era stato investito da un furgoncino Fiat Doblò riportando gravissime lesioni e finendo in prognosi riservata. Lunedì mattina la Squadra mobile ha eseguito due ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Vincenzo Quaranta, su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dei sostituti della Direzione distrettuale antimafia Stefano Musolino e Walter Ignazitto.

Gli arrestati – In carcere sono finiti due 31enni, Emilio Molinetti e Marco Geria, rispettivamente il figlio e l’uomo di fiducia del boss Gino Molinetti, arrestato nell’operazione “Malefix” di gennaio 2020. Sono stati loro a tentare di uccidere il boss di Archi con un piano che, per i pm, “è stato preordinato e programmato“: le accuse nei loro confronti sono di tentato omicidio, ricettazione e danneggiamento a mezzo incendio, tutte aggravate dalla circostanza dell’agevolazione mafiosa. “È ragionevole ritenere, a livello di gravità indiziaria, – scrive il gip nell’ordinanza – che l’attentato alla vita di Benestare, visto il suo status di esponente storico della consorteria Tegano (federata ai De Stefano) rappresenti un atto posto in essere da Emilio Molinetti e dal suo sodale Marco Geria per staccarsi dallo storico “governo” dei De Stegano-Tegano e poter così liberamente agire sul territorio in ordine alla gestione degli affari illeciti, portando avanti il disegno del gruppo Molinetti di acquisire nel panorama ‘ndranghetista di zona maggiore autonomia”.

Le indagini – Le indagini hanno consentito alla Procura di ricostruire quanto accaduto la mattina del 26 maggio, quando, ad Archi, Benestare è stato investito dal Doblò bianco mentre percorreva a piedi via Croce Cimitero. Grazie alle immagini estrapolate da svariati impianti di videosorveglianza, gli investigatori hanno identificato gli autori in Molinetti e Geria, che hanno studiato i movimenti del boss seguendolo a bordo di uno scooter. Dopo essersi assicurati che l’obiettivo circolasse a piedi nel quartiere, Molinetti e Geria hanno abbandonato il mezzo e sono saliti sul Doblò, poi risultato rubato. Benestare è stato investito mentre percorreva una strada isolata e priva di marciapiede: dopo un’inversione di marcia, i due indagati hanno cercato di colpirlo di nuovo, non riuscendovi solo perché, a seguito del primo impatto, era stato sbalzato all’interno di un piccolo ballatoio di fronte a un’abitazione. Meno di 24 ore dopo il furgone è stato incendiato e trovato dalla polizia nel torrente Scaccioti.

“Un agguato studiato per uccidere” – “Le indagini hanno consentito non solo di pervenire alla identificazione certa dei due soggetti ma anche di stabilire come l’azione sia stata il frutto di una preventiva e meticolosa pianificazione e programmazione“, scrive il gip Quaranta sposando le conclusioni dei pm della Dda di Reggio Calabria. “Le immagini riprese dal sistema di videosorveglianza, presente in prossimità di tale investimento – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare -, sono assolutamente chiare nell’attestare che si trattò di un vero e proprio agguato ai danni del Benestare e non certamente di un accidentale investimento di pedone. L’azione dei due occupanti il Fiat Doblò, frutto di una minuziosa pianificazione che ha portato ad identificare nella via Croce Cimitero il luogo più sicuro per mettere in atto e realizzare il proposito criminoso, fu posta in essere con il chiaro intento di eliminare fisicamente il Benestare. Non vi è assolutamente dubbio che i due attentatori agirono per uccidere la vittima ponendo in essere atti sicuramente idonei a raggiungere l’obiettivo delittuoso”.

Il procuratore: “Risultato importante in brevissimo tempo” – Il procuratore di Reggio Giovanni Bombardieri ha ringraziato pubblicamente i pm Musolino e Ignazitto che hanno coordinato le indagini, ma anche gli “investigatori della Squadra mobile, che ne avevano sollecitato l’intervento immediato proprio in ragione della particolare natura di quanto si era appena verificato, per la professionalità dimostrata nell’interpretazione dei fatti e delle dinamiche avessi sottese”. Per Bombardieri, “le indagini della Squadra mobile, diretta da questa Dda, subito avviate con la tempestiva raccolta e analisi delle immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti su tutta l’area, hanno consentito, nonostante le difficoltà ambientali, di giungere nel giro di pochissimo tempo a questo importantissimo risultato investigativo circa i reali responsabili del tentato omicidio”.

Il movente? I nuovi assetti di ‘ndrangheta – Il movente del delitto, per i magistrati, è da collegare all’operazione “Malefix” che l’anno scorso ha spalancato le porte del carcere al boss Gino Molinetti, padre di Emilio. “Gli arresti eseguiti il 24 gennaio 2020 – scrive sempre il gip – hanno decapitato i vertici dell’organizzazione De Stefano-Tegano, lasciando a piede libero Emilio Molinetti, il quale è possibile ipotizzare che abbia ereditato le spinte autonomistiche in passato evidenziate dal suo gruppo familiare. È ragionevole ritenere che i due indagati abbiano agito, nel tentativo di eliminare fisicamente il Benestare, nell’ambito di dinamiche che da tempo si agitano nel panorama ‘ndranghetista di zona, dirette a determinare nuovi assetti degli interessi illeciti che fanno capo alla molteplicità di famiglie/cosche che vi gravitano. Non vi sono ricostruzioni alternative, tali da poter dare ai fatti un diverso inquadramento”. Resta da capire se i due rampolli del gruppo Molinetti, che il gip definisce “soggetti nullatenenti e che si muovono in specifici contesti delinquenziali di criminalità organizzata”, abbiano agito da soli o se, dietro di loro, ci sia qualcuno di più importante nel panorama ‘ndranghetista reggino. L’agguato si è consumato in un momento storico dove buona parte dei boss di Archi sono in carcere. Buona parte, ma non tutti.

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