La figura di Antonio Di Fazio, l’imprenditore milanese indagato dalla Procura di Milano per violenza sessuale nei confronti di una studentessa di 21 anni, si sta rivelando un vero e proprio vaso di Pandora rispetto ai suoi rapporti recenti con esponenti criminali vicini alle cosche calabresi sotto la Madonnina. Dopo i contatti con gli emissari dei Mancuso, come già spiegato dal Fatto, dopo le minacce a una persona vicina a una delle società di Di Fazio, ora dal passato recente di questo “moderno Barbablù” che mai sarà indagato per reati legati alla mafia emergono chiarissimi i contatti burrascosi con personaggi vicini alla cosca di ‘ndrangheta comandata dal boss Pepè Flachi, alleato a partire dagli anni Ottanta con Franco Coco Trovato, referente mafioso per tutto il territorio a nord di Milano fino a Lecco. Relazioni pericolose che nulla hanno a che fare con il fatto che Di Fazio assieme all’ex moglie, in passato, abbia abitato nel quartiere Comasina, storica roccaforte dei Flachi. Come al solito sul piatto ci sono i soldi. Da dare e ricevere, soldi per finanziare operazioni, assegni emessi e poi ritirati. La vicenda, per come il Fatto ha verificato consultando atti giudiziari dell’epoca, risale all’autunno del 2016 e si dipana attraverso un fascicolo aperto per tentata estorsione e dove la vittima che metterà nero su bianco una denuncia è lo stesso Di Fazio. Il fascicolo inoltre non porterà ad alcun indagato. Ma per come ricostruita la storia a Di Fazio arriveranno anche minacce chiare di morte. Tanto che l’imprenditore, oggi a San Vittore, pensò di potersi avvalere (senza riuscirci) della scorta di un noto ex collaboratore di giustizia, già uomo dello Stato corrotto, poi criminale di altissimo livello e intelligenza, e infine collaboratore di giustizia definito dall’autorità giudiziaria di grande credibilità.

Siamo, dunque, alla fine del 2016, epoca in cui Di Fazio già vive nel suo lussuoso appartamento in via Tamburini vicino al parco Sempione che necessità di alcuni lavori di ristrutturazione. Per questo attraverso Massimo C. (persona incensurata), suo autista di allora imparentato con la famiglia Scirocco, storicamente legata al clan Flachi, entra in contatto con Massimiliano P., già titolare di una ditta edile con sede in zona Affori. Massimiliano P. però non è persona qualsiasi, ma un pregiudicato con un passato criminale di tutto rispetto, coinvolto in diverse inchieste, su tutte un’indagine del 2012 coordinata dall’antimafia di Milano su un colossale traffico di droga. Dagli atti emerge la capacità di P., alias il Nano, di acquistare decine di chili di cocaina in parte trafficati dal serbo Jakov Kontic imparentato con il clan pugliese dei Magrini. Dalle oltre 500 pagine di ordinanza emerge che Massimiliano P. acquistava la cocaina trafficata anche da Michele Grifa, classe ‘87, già condannato per traffico di droga e ras del quartiere popolare del Gratosoglio a Milano.

Insomma, appena Di Fazio si mette in casa P. iniziano i guai grossi. I due, si legge negli atti, si accordano per 19mila euro di lavori da pagare in nero. Nonostante Di Fazio e la madre si lamentino della cattiva qualità delle opere, pagheranno tutto visto anche i “toni e modi molto accesi” di P., il quale non fa mistero di aver avuto guai con la giustizia. E così pochi giorni dopo torna a batter cassa con Di Fazio. Questa volta chiede 12mila euro per comprare un camper. Promette che li restituirà dopo le vacanze. A settembre però P. è di nuovo alla carica. Dice di non essere stato pagato per i lavori, spiega, si legge nella comunicazione alla Procura, di essere “amico di un soggetto di elevato spessore criminale che lo avrebbe costretto a pagare”. Da quel momento Di Fazio riceve frequenti telefonate da P. “il quale continuava a minacciarlo anche di morte”. Le pretese aumentano, passando da oltre 50mila euro fino a 200mila euro. Nel frattempo Di Fazio cambia autista e assume Michele A., pregiudicato per droga e amico di vecchia data di P. Sarà lo stesso Massimiliano P. a chiedere a Di Fazio di dargli un lavoro.

Le richieste di denaro proseguono. Michele A. tenta di mediare le richieste dell’ex narcos. Sentito dalla polizia giudiziaria Michele A. smentirà le minacce di morte a Di Fazio confermando le “parole forti di rappresaglie fisiche” usate da P. “nei confronti di Di Fazio”. A verbale sarà sentito anche Rosario R., definito amico della famiglia Di Fazio, che “precisava di essere a conoscenza che Antonio Di Fazio aveva ricevuto minacce di morte da parte di Massimiliano P. in quanto nonostante avesse regolarmente pagato quanto richiesto per i lavori eseguiti, quest’ultimo pretendeva altri 200mila euro”. A portare Massimiliano P. sulla strada delle minacce evocando personaggi criminali di spessore è anche un assegno che Di Fazio gli aveva dato per circa 20mila euro. Assegno tratto sul conto della società Industria farmaceutica italiana e che però, quando P. tenterà di incassarlo, risulterà bloccato.

Insomma, relazioni pericolose sulle quali la Procura di Milano sta indagando. Attorno a Di Fazio pare aver ruotato buona parte dell’arco costituzionale della Mafia spa in Lombardia. Dopo i boss della Comasina, arriveranno i fiduciari dei Mancuso. E prima di tutti gli usurai mafiosi del clan Valle. Clan familiare, imparentato con la famiglia Lampada. Entrambi travolti da sentenze definitive. Contatti antichi dunque, che tornano indietro di oltre 15 anni, e dai quali emergono affari milionari, ma che ora potrebbero tornare di attualità visto che solo pochi giorni fa il capo famiglia Fortunato Valle è tornato uomo libero, ma non in Lombardia. Mentre da tempo Francesco Lampada, anche lui condannato, che sposò la figlia di Fortunato Valle con festa di nozze celebrata nei grandi saloni di Villa d’Este a Cernobbio, oggi gestisce in modo del tutto lecito un bar lungo via Novara che da dallo stadio Giuseppe Meazza corre verso il parco del Figino.

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