Marocco e Ungheria respingono le accuse di spionaggio di massa a danno di giornalisti, attivisti, politici e avvocati impegnati nella difesa di diritti umani. Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha affermato che il governo di Budapest “non era a conoscenza di alcuna raccolta di informazioni” e che l’agenzia d’intelligence civile che risponde a lui “non ha partecipato in alcun modo” allo spionaggio. Anche il governo di Rabat ha parlato di “accuse false”, sostenendo che “non sono basate sulla realtà, come le precedenti accuse fatte da Amnesty International al riguardo”. Le accuse sono venute fuori dopo la pubblicazione dell’inchiesta del Guardian e di altre 16 organizzazioni ribattezzata The Pegasus Project, focalizzata sull’uso dello spyware Pegasus prodotto dalla società israeliana NSO Group utilizzato da decine di governi per spiare personaggi scomodi. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva commentato definendolo “inaccettabile”: “Deve essere verificato, ma se fosse così sarebbe contro qualsiasi regola – ha dichiarato in conferenza stampa a Praga – La libertà della stampa è uno dei valori fondamentali dell’Ue”.

Parole necessarie dopo che dall’inchiesta è emerso che tra i Paesi che hanno utilizzato il software spia per controllare giornalisti critici nei confronti del governo c’è anche l’Ungheria di Viktor Orban, già allo scontro duro con l’Ue sulla questione della legge anti-Lgbt, sulla quale Palazzo Berlaymont ha già aperto una procedura d’infrazione: “I giornalisti devono lavorare in libertà nell’Ue e ovunque – ha aggiunto il portavoce della Commissione, Christian Wigand, durante il consueto midday briefing con i giornalisti a Bruxelles – E gli Stati membri devono rispettare i diritti umani e il diritto alla privacy“. Questi, ricorda Wigand, “hanno l’obbligo di assicurare il rispetto delle regole Ue. Per quello che riguarda l’applicazione delle regole riguardanti la privacy, spetta alle autorità” competenti intervenire. E si sofferma anche sul caso Ungheria, sulla quale “abbiamo sollevato più volte le nostre preoccupazioni per la libertà dei media”: “Siamo molto chiari – aggiunge rispondendo a chi chiede se la Commissione intenda lanciare una procedura di infrazione contro il governo ungherese – Ma non dimentichiamo che per ora si parla di inchieste giornalistiche, peraltro appena pubblicate. Occorre un po’ di tempo per indagare e vedere se è possibile intervenire. Ma quello che è chiaro è che un intervento simile nei confronti dei media è inaccettabile”.

“La sicurezza nazionale è una questione che riguarda gli Stati membri, che devono garantire il rispetto delle regole” ha detto un portavoce della Commissione europea, Christian Wiegand, e l’indagine sull’eventuale spionaggio col software Pegasus dei giornalisti ungheresi “spetta all’autorità nazionale sulla protezione dei dati. Noi seguiamo comunque la vicenda da vicino”.

Intanto continuano ad uscire particolari e nomi noti tra le 50mila persone inserite nella lista per essere controllate dai governo che hanno acquistato il sistema Pegasus. E tra questi compare anche quello di Hatice Cengiz, promessa sposa del giornalista dissidente Jamal Khashoggi ucciso all’interno del consolato saudita di Istanbul nell’ottobre del 2018 per volere, sostengono rapporti d’Intelligence americani, del principe ereditario Mohammad bin Salman. La scientifica che ha svolto le analisi sul suo telefono ha rilevato la violazione con lo spyware Pegasus. E sempre tra i dissidenti sauditi, anche i due avvocati che stanno intentando una causa contro NSO per conto di Omar Abdulaziz, oppositore della monarchia che vive in esilio in Canada e stretto collaboratore di Khashoggi, hanno visto i loro numeri tra quelli da sorvegliare.

Sempre Riyad aveva messo nel mirino la famosa attivista per i diritti delle donne Loujain al-Hathloul. Il suo inserimento nella lista è stato voluto, secondo quanto emerge, dagli Emirati Arabi, stretto alleato della monarchia degli al-Saud, ed è avvenuto poche settimane prima del suo rapimento del 2018 proprio negli Emirati e del suo ritorno forzato in Arabia Saudita, dove è stata imprigionata per tre anni e presumibilmente torturata. Nonostante il suo rilascio nel febbraio 2021, l’attivista non può parlare con i giornalisti o muoversi liberamente all’interno dell’Arabia Saudita: anche per questo non è stato possibile ottenere o testare il suo telefono cellulare per provare che fosse stato infettato o violato.

Numerosi attivisti sono invece finiti nel mirino del governo dell’Azerbaigian, con alcuni di loro che hanno addirittura trovato la loro corrispondenza personale o fotografie intime pubblicate online o in televisione. Lo stesso è successo nell’India del primo ministro Narendra Modi, dove a finire nella lista, tra gli altri, è stato Umar Khalid, un attivista studentesco della Jawaharlal Nehru University di Delhi e leader dell’Unione degli studenti democratici, inserito alla fine del 2018, poco prima che venisse mossa contro di lui un’accusa di sedizione. L’uomo è stato arrestato nel settembre 2020 con l’accusa di aver organizzato delle sommosse e la polizia ha affermato che le prove contro di lui includevano più di 1 milione di pagine di informazioni raccolte dal suo telefono cellulare, senza chiarire come fossero state ottenute. Nei dati figuravano anche i numeri di cellulare di scrittori, avvocati e artisti che hanno difeso i diritti delle comunità indigene e degli indiani di casta bassa.

Ci sono anche una trentina di reporter francesi tra gli obiettivi di sorveglianza. “Fatti estremamente scioccanti” secondo il portavoce del governo francese Gabriel Attal. Lo spyware Pegasus della società israeliana NSO Group, se inserito in uno smartphone, può recuperare messaggi, foto, contatti e persino ascoltare le chiamate. Secondo la vasta inchiesta pubblicata su diversi media, tra cui Le Monde, The Guardian e The Washington Post, diversi giornalisti e capi dei media francesi sono nell’elenco degli obiettivi di Pegasus, dalla redazione del quotidiano Le Monde, di Canard Enchaine, Figaro o anche Agence France-Presse e France Télévisions. “Ci saranno ovviamente accertamenti e verranno richiesti chiarimenti”, ha proseguito Attal, sottolineando che “lo stato francese non è coinvolto in questo software. Le nostre tecniche di intelligence in Francia sono ovviamente autorizzate dalla legge”.

Il Paese che ha presentato la lista più lunga di tutte è stato però il Messico, con circa 15mila telefoni cellulari su un totale di oltre 50mila. E anche in questo caso, tra le persone attenzionate c’erano numerosi attivisti, avvocati e difensori dei diritti umani. Come Eduardo Ferrer Mac-Gregor Poisot, un giudice che è stato presidente della Corte interamericana dei diritti umani, e Alejandro Solalinde, sacerdote cattolico e paladino dei diritti dei migranti. Solalinde ha detto di credere che il precedente governo messicano stesse “cercando qualcosa per danneggiare la mia reputazione e usarlo come ricatto” a causa del suo sostegno a un rivale politico.

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