“In Bosnia ho trovato la mia strada professionale. È un Paese che amo, che ha formato la mia visione del mondo, dove mi sono creata dal nulla un posto di lavoro”. Claudia Zini ha 36 anni ed è originaria di Trento. Dopo gli studi, il dottorato a Londra e il lavoro in gallerie e fondazioni (tra cui la Biennale di Venezia) ha deciso di trasferirsi a Sarajevo dove, nel 2018, ha fondato Kuma International, centro di ricerca dedicato alle arti visive di Paesi colpiti da guerre e violenza, di cui è direttrice.

“Ricordo molto bene le case distrutte al confine con la Croazia, le colline di Sarajevo (da dove sparavano gli aggressori durante la guerra) così vicine alla città – racconta al fatto.it –. Una sensazione di inquietudine mista a grande interesse per un Paese così vicino all’Italia”. Laurea in arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari, dottorato al Courtauld Institute of Art di Londra, Claudia non vedeva l’ora di partire “non perché volessi lasciare l’Italia, ma per imparare la lingua, fare esperienza all’estero. All’epoca, l’università italiana era ad un buon livello, sì, ma mancava completamente la parte pratica, almeno nel mio settore”.

A Sarajevo, oggi, Claudia dirige il suo centro di ricerca. “Negli anni abbiamo lavorato con una cinquantina di artisti, fotografi, architetti, giornalisti e fotoreporter, antropologi, accogliendo studenti provenienti da una quindicina di Paesi diversi, dall’Europa fino agli Stati Uniti e all’Australia”. Con la pandemia il lavoro si è spostato principalmente online. “A Sarajevo c’è stato un lockdown, ma eravamo liberi di uscire di casa per passeggiare. L’impatto qui non è stato molto forte”, racconta. Nei primi sei mesi del 2020, però, sono stati cancellati diversi eventi programmati. “Ci siamo riorganizzati combinando eventi in presenza con quelli su piattaforme online, che hanno avuto un inaspettato successo. La pandemia mi ha costretta a ripensare ai nostri metodi educativi ed è stata di grande stimolo per trovare soluzioni innovative”.

“In Bosnia mi sono creata dal nulla un posto di lavoro – continua Claudia –. È stato complicato, ma possibile”. Una delle differenze principali sta nello stipendio medio, molto più basso. “Ma lo è anche il costo della vita”, precisa. Per Claudia essere italiani all’estero significa quasi sempre godere di un profondo rispetto, e di un po’ di invidia. “Sono sempre stata accolta in modo molto positivo, all’estero amano gli italiani, anche se ci prendono in giro per la mafia, la corruzione, il nostro attaccamento alla famiglia e al cibo”, sorride.

Sveglia presto, ufficio, riunioni. La giornata non è così diversa da quella che potrebbe essere in Italia. “La cosa che cambia è la lingua. A volte mi manca parlare l’italiano, nei momenti difficili penso che lavorare nella mia lingua madre sarebbe più facile”. Eppure vivere e lavorare all’estero, in una realtà che non ti appartiene del tutto, dove ti senti spesso straniero “è molto stimolante, oltre che estremamente stressante qualche volta – continua –. Ma è un’esperienza impagabile, di cui sono molto grata”.

Claudia non è disposta ad abbandonare i suoi progetti a Sarajevo. “Tornerei in Italia se la mia famiglia avesse bisogno di me – spiega –. Sogno di integrare la realtà bosniaca della mia organizzazione con il territorio italiano, in modo da costruire dei ponti e poter passare sempre più tempo in Italia. Inizierei da Venezia, ovviamente. Venezia è casa, ho vissuto lì per molti anni, ho ancora amici e un legame molto profondo con la città. Lavorare per la Biennale come curatrice del Padiglione della Bosnia Erzegovina nel 2019 è stato un enorme privilegio”.

Tra 10 anni si immagina ancora a Sarajevo, a lavorare con Kuma International, con collaborazioni internazionali e magari lo status di master universitario riconosciuto per la sua organizzazione. Su una cosa, però, Claudia ci tiene a dire la sua. “Credo che gli italiani abbiano voglia di mettersi alla prova, di affrontare nuove sfide, per questo tanti si spostano all’estero, anche per migliorare le proprie condizioni lavorative”. E continua: “Abbiamo tutti nostalgia dell’Italia, di un buon cappuccino la mattina, una vera pizza la domenica sera. Ma allo stesso tempo siamo grati di vivere all’estero, dove ogni giorno è una sfida. Vorrei dire ai giovani italiani – conclude – di non ascoltare mai chi dice che i nostri sogni sono impossibili o troppo ambiziosi. È difficile e fa molta paura, ma le soddisfazioni quando arrivano sono impagabili”.

(foto di Enrico Dagnino e Yulia Kopr)

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