“Gli ospiti delle Rsa dell’Istituto Golgi-Redaelli di Milano ricoverati nei reparti dati in gestione alle cooperative muoiono quattro volte di più di quelli accuditi dal personale interno dell’istituto”. È la pesantissima accusa mossa dal sindacato Usb alla storica struttura geriatrica milanese, la seconda per importanza dopo il Pio Albergo Trivulzio.

Un’accusa messa nero su bianco nell’esposto che il sindacato ha presentato lunedì alla Procura della Repubblica, ai vertici sanitari di Regione Lombardia e all’Ats Città metropolitana di Milano, l’organo deputato a vigilare sulla gestione dei pazienti.

Secondo i dati del sindacato, tra il primo gennaio 2021 e il 18 giugno 2021, nella sede di Vimodrone (seconda sede del Redaelli) sono stati registrati 17 decessi nei 3 reparti esternalizzati contro i 6 avvenuti nei 4 reparti gestiti da personale interno. Nella struttura di Milano, invece, nello stesso periodo, nei 4 reparti esternalizzati i decessi sono stati 18. Qui però non c’è possibilità di raffronto, spiega Usb, perché a Milano tutti i reparti sono stati dati alle coop.

Numeri preoccupanti che, per il sindacato, avrebbero una spiegazione chiara: l’appalto da 39 milioni per la gestione per sei anni dei sette reparti vinto nel 2019 dalla Cooperativa “In Cammino” (Consorzio Blu) era troppo basso, insufficiente per garantire il personale necessario a fornire un’adeguata assistenza ai pazienti. Quell’affidamento finì anche davanti al Tar che giudicò l’importo troppo basso e lo bloccò, ma poi intervenne il Consiglio di Stato il quale invece diede il via libera. Per il sindacato fu un errore, tanto che ad aprile 2021 – passata la seconda ondata covid – il Consorzio avrebbe tagliato “le ore di presenza del personale nei reparti” per far quadrare i conti.

E a pagare, secondo l’Usb, sarebbero stati i pazienti: “Pensate sia possibile che tre soli operatori per un reparto Rsa di 30 pazienti possano, nella fascia oraria dalle 12 alle 13, riuscire a: chiedere ai pazienti cosa vogliono mangiare, distribuire il cibo, imboccarli, idratarli, sparecchiare, pulire i comodini, rimettere a letto tutti e 30 i pazienti?”, si domanda Pietro Cusimano, dell’USB Pubblico Impiego Lombardia, firmatario dell’esposto. “E ancora: ritenete che i 30 pazienti siano accuditi e al sicuro nel momento in cui dalle 13 alle 15 rimane in reparto con un solo operatore, tra l’altro impegnato a lavare i piatti del pranzo?”.

Per capire la differenza, sostiene Usb “nella fascia oraria 12/15 nei reparti a gestione interna il personale arriva ad essere anche il doppio” rispetto a quelli gestiti dalle coop. Per l’Usb l’equazione è semplice: poco personale significa poca assistenza, quindi minori cure che, a sua volta, significa più mortalità.

Una situazione figlia di un processo di progressiva e costante esternalizzazione delle attività sanitarie e precarizzazione del lavoro, che mira più alla contrazione dei costi che alla qualità dell’assistenza sociosanitaria. Un processo molto simile a quello registrato nella logistica. Per avere un’idea, al Golgi a fronte di un primo appalto che prevedeva 112.000 ore all’anno di lavoro somministrato, in sette anni si è arrivati a triplicare quel monte ore, sforando le 250.000. “Una fucina di precariato per diminuire il personale assunto regolarmente e regalare ai privati sempre maggiori guadagni e profitti”, spiega Usb.

E che le condizioni di lavoro siano insostenibili, lo conferma anche un dipendente della cooperativa In Cammino, che chiede l’anonimato: “Sono 20 anni che faccio questo lavoro ma è cambiato in peggio, è degenerato tutto, anche i pazienti sono trattati come sacchi … Dalle 12 alle 13 siamo in 4 per 34 pazienti – continua – dobbiamo dare da mangiare a 8 pazienti disfagici (che vanno imboccati), ci vorrebbe almeno un quarto d’ora a testa. Ma non abbiamo il tempo. Poi devi sistemarli, idratarli e metterli a letto. Sparecchiare e lavare i tavolini, se no ti fanno anche le lettere di richiamo. Ma noi non ce la facciamo a fare tutto. Siamo pochi, non assumono e quei pochi hanno un contratto di 29 ore settimanali. Loro (la coop, ndr) non capiscono che abbiamo bisogno di fare più ore. Che i pazienti ne hanno bisogno. Non c’è rispetto per i pazienti che oltretutto pagano anche tanto. Per l’assistenza che hanno non ne vale davvero la pena!”.

Accuse fortemente contestate dal direttore generale del Golgi-Redaelli, il dottor Enzo Lucchini, per il quale: “Non c’è alcun riscontro oggettivo di decessi in numero superiore nei reparti esternalizzati e non si capisce da dove siano stati desunti i dati denunciati, né quale comparazione sia stata fatta e tantomeno il modo in cui sia stata fatta”.

“D’altra parte – aggiunge – essendo l’argomento accusatorio proprio di discipline specialistiche mediche (inclusa la ricerca del nesso di causalità) che non credo appartengano alla cultura dell’“accusatore”, la faciloneria di pericolosi nessi fra un appalto a base d’asta incapiente (smentito da sentenza del Consiglio di Stato), l’insufficiente personale (smentito dall’obbligo di standard gestionali ineludibili e sottoposti a controllo) e l’aumento dei decessi (denunciato senza oggettivazione) per omessa assistenza (nesso di causalità formulato senza competenza in materia dall’accusatore) e la pubblicità esterna alle istituzioni ed agli organi competenti, oltre a diffondere notizie false, finisce col procurare un ingiustificato allarme pubblico e una grave lesione dell’immagine e del buon nome dell’ASP Golgi Redaelli, la quale si riserva di intraprendere ogni iniziativa atta a tutelare i propri diritti ed interessi”.

E circa eventuali difficoltà del personale delle cooperative, è perentorio: “Proprio perché trattasi di “appalto genuino” il personale della Cooperativa dipende ed è gestito autonomamente dalla stessa. Nostra competenza è la verifica della rispondenza del servizio resoci alle condizioni contrattuali d’appalto e, ad oggi, non si segnalano significativi reclami da parte degli ospiti, né contestazioni di inadempimento a carico dell’Appaltatore”.

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