Sergio Mattarella interviene per esprimere vicinanza a Nino Di Matteo, dopo le minacce del boss di ‘ndrangheta svelate dal Fatto Quotidiano. Lo fa tramite David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che ha preso la parola in apertura del plenum per schierarsi al fianco dell’ex pm di Palermo. “Nella prima occasione pubblica dopo le recenti gravissime minacce rivolte al consigliere Nino Di Matteo da un boss mafioso detenuto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha incaricato di rappresentargli la sua affettuosa vicinanza e il forte impegno, da parte di tutte le istituzioni, nel contrasto della criminalità organizzata e la più ferma determinazione nel proteggere magistrati, forze dell’ordine e tutti coloro che sono esposti per l’azione coraggiosa contro la criminalità e le mafie”, ha detto Ermini. E visto che la notizia delle minacce di Gregorio Bellocco risale al 25 giugno, Ermini ha chiarito di aver “già avuto modo- personalmente – di manifestare nell’immediatezza al consigliere Di Matteo la nostra solidarietà, ma è il plenum la sede pubblica appropriata per dirgli che siamo tutti al suo fianco”.

Di Matteo, in silenzio fino a questo momento, è intervenuto a Palazzo dei Marescialli per dire che “la vicinanza e la solidarietà del Presidente della Repubblica, espressami per il tramite del vicepresidente Ermini stamattina in plenum, mi onorano e costituiscono, non solo per me ma per tutti i magistrati impegnati sul fronte del contrasto alle mafie, un importante incentivo a contrastare ogni forma di criminalità, sempre nel solco del rispetto e dell’effettiva applicazione dei valori costituzionali e nella consapevolezza, da più parti oggi trascurata, del ruolo decisivo che la magistratura ha avuto, ha, e continuerà ad avere in questa lotta di libertà e democrazia“.

Ieri a sollecitare una posizione pubblica del Csm e del Quirinale erano stati settanta magistrati, che avevano sottoscritto un documento per spiegare che “la presa di posizione degli organi apicali dello Stato può costituire un deterrente rispetto alla possibile commissione di gravi delitti a danno di donne e uomini delle istituzioni”. Per questo chiedevano “al Csm, al suo plenum e al suo presidente (nella persona del capo dello Stato), anche attraverso pubblica sollecitazione al Governo” di ribadire e rendere “chiaramente percepibili a tutti gli ambienti della malavita organizzata il severo ammonimento e la ferma determinazione dello Stato contro ogni possibile ipotesi di recrudescenza della criminalità nei riguardi di magistrati, forze dell’ordine e uomini delle Istituzioni”. Nei giorni dopo la pubblicazione dell’articolo del Fatto, la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati aveva espresso “forte preoccupazione” parlando di “inquietanti segnali che impongono un serio approfondimento della vicenda, anche e soprattutto sul piano della prevenzione”. Le minacce di Bellocco risalgono all’1 giugno scorso. Il boss della ‘ndrangheta, detenuto nel carcere di Opera a Milano, commentava insieme a Francesco Cammarata, mafioso della famiglia di Riesi, la scarcerazione di Giovanni Brusca. A un certo punto Bellocco ha da detto: “Il giudice Di Matteo lo ammazzano, gli hanno già dato la sentenza”.

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