di Roberto Del Balzo

Prendete quella spina, quella elettrica ovviamente, e staccatela. Togliete la corrente e, quindi, la vita al computer. Twitter tornerà nel nulla, là dove rimarranno inghiottiti giornalisti e opinionisti di ogni colore e religione politica. Sì, proprio loro, quelli con la schiena diritta e la pancia in dentro davanti alla foto di un cassonetto di rifiuti a Roma. Non importa se poi la schiena si piega velocemente nell’ossequio quotidiano e imbarazzante del banchiere di turno.

Via la spina, quella elettrica, basta giornali online e ricerche ossessive sul virus e i suoi sintomi. Nessuna dichiarazione, previsione o raccomandazione del virologo di giornata sarà ascoltata. Tutti i giorni che Dio ci sta lasciando vivere sono vuoti da colmare con parole e immagini, che, in questo periodo di pandemia, arrivano all’apice dell’insensatezza e della dabbenaggine.

Sempre quella spina, quella elettrica s’intende, staccatela per interrompere il balletto di politici che si asciugano la bava con l’ultima mascherina o cercano di crearsi un’identità con slogan tanto inutili quanto il voto di una sardina minorenne.

Dopo aver creato il vuoto, il giusto distacco dall’esilarante mondo dei social, dalle zuffe da gatti in calore nei salotti televisivi, riprendetevi con qualsiasi cosa possa sciogliere i pensieri calcificati da questi due anni passati in casa. Può capitare con un buon libro ad esempio. Oppure scoprire che c’è una serie televisiva, Omicidio a Easttown (in questo caso è un dovere riattaccare almeno quella di spina, quella lì, quella della televisione davanti al divano).

La serie si basa su un plot trito e ritrito come si dice. In un paesino della Pennsylvania abbandonato anche dalle mappe stradali, quella periferia americana che ormai conosciamo meglio del nostro quartiere, dove i pochi abitanti sembrano tutti sociopatici e potenziali assassini, una poliziotta risolve casi di vario tipo fino all’ultima puntata con l’inevitabile colpetto di scena. Insomma, ne abbiamo visti a dozzine, tra film, serie televisive e via discorrendo. Nulla di nuovo. Ma quello che non abbiamo visto mai è la strepitosa, mostruosa e grandiosa interpretazione di Kate Winslet. Non si può farne a meno.

Riavvolgendo il testo appena scritto come se fosse un nastro, potremmo aggiungere che la trama è scontata sì, ma non importa: è inutile, è solo una storia di contorno alla vita di Mare Sheehan, il personaggio interpretato dalla magnifica Kate. A questo punto non è fondamentale chi sparisce, chi muore, chi è l’assassino: in questi paesi di dannati psicolabili bevitori di birra, le cose accadono, la gente sparisce e diventa un volantino attaccato al palo dell’elettricità. Di queste sette puntate conta solo la bravura di Kate Winslet.

Come accade spesso c’è sempre troppa carne al fuoco. Troppi problemi associati a un personaggio solo, ma il talento di Kate sta proprio qui, incorporare anche il troppo, il superfluo e l’eccesso del racconto e farne recitazione potente da togliere il respiro. Trasandata, depressa e con il cuore inciso dai sensi di colpa si fa carico, come tutti i poliziotti di queste piccole comunità, anche di essere assistente sociale per anziani, drogati e famiglie allo sbando quanto la sua, portando sul viso un dolore e un fardello compresso in un corpo quasi deformato, goffo, proprio di chi non pensa più a se stesso ma solo a quello che è stato e non sarà più.

La Winslet pennella il suo personaggio buttandolo sulla tela intriso di dettagli, emozioni, sguardi ed espressioni che inseguono una pace inarrivabile. Il premio Oscar non ci interessa. Che fosse brava lo sapevamo. Queste sette puntate sono un regalo che dovremmo apprezzare. La bravura, il bello sono sentieri da seguire per allontanarci ogni tanto dalle miserie quotidiane. Alla parola “fine” fate come Mare Sheehan: stappatevi una birra, respirate, e tornate alla routine che ci regala, tutti i giorni che Dio ha messo in terra, politici, giornalisti e il loro popolo di fan dire le stesse cose. Tutti i giorni.

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