Molti di noi ricordano quando, grossomodo nel ventennio finale del secolo scorso, ci si scandalizzava per gli stipendi dei calciatori. Undici ragazzotti in braghe corte che inseguivano una palla su un campo d’erba sembravano effettivamente guadagnare troppo rispetto agli stipendi medi dei lavoratori. Indubbiamente qualcosa è cambiato se, oggigiorno, il motivo di scandalo dei medesimi undici ragazzotti sembra essere dovuto al fatto che costoro si inginocchino o meno per supportare una battaglia sacrosanta quale è quella contro il razzismo.

Ad essere cambiato più di tutti è il modello capitalistico, che una volta produceva perlopiù beni materiali, mentre oggi genera profitti producendo immagini e beni immateriali. Se la struttura economica produce immagini – avrebbe detto il buon Marx – è interesse del sistema dominante che anche la sovrastruttura ideologica si concentri sulle immagini, sui simboli. Meglio ancora, che si concentri su battaglie simboliche, così da non colpire i luoghi effettivi del potere. Ma questo discorso ci porterebbe lontano, mentre io intendo concentrarmi su un aspetto specifico.

Non ci giro intorno. Un’opinione pubblica – la stessa che ormai coincide con il magma indistinto dei social media – che è stata irretita all’interno del giochino “acchiappalike” ma fondamentalmente sterile delle battaglie simboliche (asterischi, inginocchiamenti, linguaggio politicamente corretto, eccetera), ha già perso in partenza qualsiasi battaglia sociale. Né si commetta l’errore di pensare che stiamo trattando questioni marginali: la democrazia è quel regime in cui i governati devono controllare l’operato dei governanti, perché è al popolo che spetta la facoltà di stabilire i propri governanti, dopo averne giudicato i programmi, l’operato, l’attendibilità.

Se qualcuno trova il modo di concentrare l’attenzione di quello stesso popolo sui giocatori di calcio che si inginocchiano o meno, o sugli intellettuali che usano o meno l’asterisco per non discriminare maschi o femmine, sui partiti che candidano più o meno “sindache”, allora il meccanismo della democrazia risulta inevitabilmente corrotto (come se le vere discriminazioni fossero linguistiche, come se il razzismo fosse una questione di ragazzotti miliardari che si inginocchiano, come se violenze e ingiustizie si affrontassero con i gesti simbolici, mi sia consentito di aggiungere sarcasticamente). Senza contare che, spostata sul piano esclusivamente simbolico, diviene eterea e confusa anche la comprensione della verità.

Lo spiego con un esempio: di fronte alle vergognose violenze perpetrate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere contro i detenuti, l’ex ministro dell’interno Matteo Salvini (non a caso una star dei social network e della logica che li connota) si è subito schierato con i poliziotti. Ma come, sono insorte le anime belle del politicamente corretto, costui non si vergogna a schierarsi dalla parte di coloro che sono oggettivamente nel torto?! Ma il punto è proprio questo: una volta che è stato imposto il piano simbolico come l’unico valido e decisivo (questi giocatori della Nazionale, si inginocchieranno o no, diavolo santo?!), questioni come la giustizia, la verità, l’oggettività eccetera evaporano come neve al sole.

Salvini ha potuto schierarsi con la polizia penitenziaria proprio giocando sul piano simbolico: quello per cui le forze di polizia sono sempre e comunque dalla parte dell’ordine e della giustizia. Lo dice la loro uniforme, il loro ruolo, il valore simbolico che rappresentano. E pazienza se “quel” agente, “quell’altro” questurino o chi per loro hanno commesso brutalità inaccettabili in un paese civile e democratico. Non si finirà mai di denunciare la pericolosità insita in questo moralismo di ritorno, spacciato per politicamente corretto.

La logica degli asterischi e dei gesti simbolici – pur mossa da intenti edificanti (serve dirlo?) – è figlia di un sonno della ragione che genera mostri. Quei mostri sono già qui, nel nostro tempo e nella nostra società. Un tempo e una società in cui sta tornando la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, la disuguaglianza sociale più vergognosa, in cui la magistratura è mediamente corrotta, la politica genuflessa alla finanza, il sistema mediatico ridotto a megafono del potere economico.

Tutto questo, mentre noi, eccitati e commossi come Fantozzi in uno dei memorabili film di Paolo Villaggio, durante la partita della Nazionale di calcio bussiamo alla finestra di uno qualunque per farci dare l’agognata notizia: “Ma allora, si sono inginocchiati?!”. Senza minimamente accorgerci di quanto siamo stati messi in ginocchio noi.

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