Più del 60 per cento degli 11 miliardi di bottiglie immesse al consumo in Italia ogni anno non viene riciclato, mentre 7 miliardi di contenitori da 1,5 litri in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli), usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850mila tonnellate di CO2 equivalenti. È quanto emerge dal rapporto “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica” di Greenpeace che, nelle scorse settimane, ha lanciato una petizione per chiedere alle aziende leader del mercato di ridurre drasticamente il ricorso a bottiglie in plastica monouso e adottare sistemi di vendita basati sull’impiego di contenitori riutilizzabili. Interventi che vengono ritenuti dagli esperti molto più utili rispetto alle soluzioni fin qui impiegate dalle aziende, anche in vista della plastic tax (tuttora rinviata), come ha raccontato ilfattoquotidiano.it. “L’Italia è uno dei maggiori consumatori globali di bottiglie di plastica per le acque minerali e le bevande. Ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita”, spiega Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.

Si ricicla meno del 40% di bottiglie
Le aziende leader del mercato nazionale di acque minerali sono San Benedetto, Nestlé-San Pellegrino e Sant’Anna, mentre Coca Cola, San Benedetto e Nestlé-San Pellegrino dominano il mercato italiano delle bibite. Nel 2019, l’82% dell’acqua confezionata e consumata in Italia è stata venduta in bottiglie di plastica monouso Pet (11 miliardi di litri), il 16% in vetro (oltre 2 miliardi) e il 2% in altre tipologie di contenitori (0,3 miliardi). Se al consumo di acque minerali e confezionate aggiungiamo il consumo delle altre bevande analcoliche (bibite lisce e gassate) raggiungiamo il numero di 13,7 miliardi di litri di bevande confezionate in bottiglie di PET, circa il 78% degli oltre 17,5 miliardi di litri di bevande analcoliche (acqua minerale inclusa) consumate nel 2019 in Italia. Assumendo una percentuale di scarto del processo di trasformazione delle bottiglie post-consumo in scaglie di PET pari al 32% (il valore medio europeo del 2017 secondo le stime di Plastics Recyclers Europe), il riciclo effettivo risulta di poco inferiore al 40%. Questo significa che quasi 280mila delle 460mila tonnellate di bottiglie in PET immesse al consumo ogni anno non viene riciclata. L’equivalente di 7 miliardi di bottiglie da 1,5 litri litro e mezzo del peso di 40 grammi ciascuna viene incenerita nei termovalorizzatori e nei cementifici, smaltita in discarica o dispersa nell’ambiente.

Solo il 5% del Pet riciclato in Italia viene usato per nuove bottiglie
Nel 2019, 230mila tonnellate di Pet rigenerato sono state impiegate dall’industria di trasformazione nazionale (provenienti sia dal mercato nazionale che dall’estero). Il principale campo di applicazione è quello della produzione di imballaggi rigidi non alimentari, come vaschette, flaconi, reggette (per circa 180mila tonnellate). Circa 50mila tonnellate di Pet rigenerato sono state impiegate per la produzione di fibre tessili sintetiche (destinate, per esempio, alla produzione di abbigliamento in pile), una tipologia di materiale che, in assenza di dispositivi di filtraggio nelle lavatrici, è responsabile in maniera consistente dell’inquinamento marino da microplastiche. I grandi marchi continuano a pubblicizzare il riciclo come soluzione, ma le applicazioni ‘bottle to bottle’, ovvero il riciclo da bottiglia a nuova bottiglia, hanno riguardato poco più del 5% dell’impiego complessivo di PET riciclato in Italia. E questo è un problema, nonostante l’approvazione, a ottobre 2020, di un emendamento che rende possibile anche nel nostro Paese la produzione di bottiglie in rPet al 100%.

Il deposito su cauzione
Per Greenpeace si tratta di una situazione “inaccettabile”, resa possibile dall’inerzia della politica che non ha definito quote obbligatorie di impiego per i contenitori riutilizzabili, né incentivato sistemi di deposito su cauzione (DRS), gli unici in grado di garantire livelli di intercettazione pari o superiori al 90% (con punte del 97% in Germania) come già avviene in numerosi Paesi europei (Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Lituania, Olanda, Norvegia, Svezia).

La direttiva europea
E il rapporto arriva a pochi giorni dell’entrata in vigore della direttiva europea sulle plastiche monouso, nonostante la quale non sappiamo ancora se quei manufatti che negli altri ventisei Paesi europei diverranno illegali entro pochi giorni lo saranno anche in Italia. L’Italia, infatti, come gli altri Stati membri dell’Unione ha avuto due anni di tempo per recepire la norma nell’ordinamento nazionale, ma a due giorni dalla scadenza non si sa quando il provvedimento diverrà legge anche nel nostro Paese. “Il recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso, che dovrebbe avvenire entro il 3 luglio, sarebbe un’ottima occasione per ridurne subito l’impiego e promuovere il riutilizzo seguendo l’esempio tedesco e francese”, aggiunge Ungherese sottolineando che “non c’è stata ancora nessuna indicazione da parte del ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani sul decreto di recepimento. Non si accompagna il Paese verso una reale transizione ecologica se tonnellate di plastica continuano a finire nei nostri mari”.

Plastica e fossili, due facce della stessa medaglia
Per denunciare come l’uso di gas e petrolio e l’impiego di plastica siano due facce della stessa medaglia, entrambi riconducibili a un’economia basata sullo sfruttamento delle fonti fossili, questa mattina volontari e volontarie di Greenpeace hanno esposto su una spiaggia di Polignano a Mare (Bari) un grande striscione con scritto ‘Ci state bruciando il futuro’ e altri striscioni che ricordano come la plastica sia prodotta a partire dal petrolio. In queste settimane, inoltre, l’associazione è impegnata nella spedizione di ricerca ‘Difendiamo il Mare’, svolta in collaborazione con la Fondazione Exodus, l’Università Politecnica delle Marche e il CNR-IAS di Genova. Dopo Bari, la spedizione toccherà l’Area Marina Protetta di Torre Guaceto, per concludersi il 10 luglio a Brindisi, con l’obiettivo di misurare l’impatto della contaminazione da plastica e microplastica e dei cambiamenti climatici in Adriatico.

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