Vaschette e buste per contenere alimenti in carta, bottiglie che cambiano colore e tornano alla trasparenza per facilitarne il riciclo, altre che diventano più leggere, mentre in ogni singolo imballaggio aumentano le percentuali di Pet riciclato. Sono le tendenze in atto da parte delle aziende italiane per effetto delle direttive europee e in vista della plastic tax sui prodotti monouso, che avrebbe dovuto entrare in vigore a gennaio 2021 in concomitanza con quella europea ma è stata ulteriormente rinviata al prossimo luglio complice il Covid, gli appelli degli imprenditori e le pressioni di Italia viva. E sarà accompagnata da incentivi per le aziende che producono manufatti in plastica biodegradabile e compostabile. Gli sforzi per ora si concentrano più sulla guerra alla plastica vergine che sulla riduzione del packaging auspicata dalle associazioni ambientaliste. Difficile orientarsi tra chi insegue la sostenibilità e chi pensa più che altro al “greenwashing“.

COSA STA CAMBIANDO – Essendoci ancora diverse incognite sulle modalità di applicazione e in mancanza di decreti attuativi, alle aziende non è ancora chiaro come muoversi. Si registrano, comunque, due trend. Da un lato la riduzione del peso dei materiali di plastica (la cosiddetta sgrammatura): molte bottiglie da mezzo litro di acqua, per esempio, ora pesano meno di 10 grammi e lo stesso discorso vale per i fogli e le vaschette, sempre più leggeri. Il secondo trend è quello dell’aumento della percentuale di Pet riciclato (rPet) nei materiali in plastica prodotti, con uno sforzo economico perché, con il prezzo del petrolio molto basso, utilizzare plastica riciclata costa di più rispetto a quella vergine.

LE BOTTIGLIE E IL RICICLO – Un esempio significativo sono proprio le bottiglie di acqua minerale. Dopo i messicani, noi italiani siamo i secondi al mondo in quanto a consumo (siamo sui 224 litri all’anno a testa), ma i messicani non possono contare sulla nostra stessa rete idrica che, anzi, in alcune aree è del tutto inesistente. In Italia si utilizzano circa 11 miliardi di bottiglie, oltre l’84% è in plastica (negli ultimi dieci anni il volume delle vendite è più che raddoppiato) e al massimo il 15% arriva negli impianti di riciclo. Uno studio della società di consulenza Eunomia stima che la percentuale di plastica riciclata (rPet ) sul totale del Pet trasformato in Europa potrebbe crescere dall’attuale 24% al 55% nel 2030, superando in volume il polimero vergine. La percentuale di rPet contenuta nella bottiglia, però, non va confusa con quella di riciclabilità della bottiglia Pet (il materiale tuttora principalmente utilizzato per le bottiglie), che viene spesso indicata al 100% nelle campagne di marketing ma non garantisce sempre un riciclo infinito. Non solo: va ricordato che in Italia nel 2017 (ultimo dato disponibile) il tasso di riciclo delle bottiglie in Pet messe sul mercato era fermo al 46%, anche a causa delle diverse colorazioni utilizzate. Il resto finisce nei termovalorizzatori, in discarica o disperso nell’ambiente, soprattutto in mare.

LE MOSSE DELLE AZIENDEEcogreen, la linea di acqua minerale San Benedetto in bottiglie di plastica 100% riciclabile, è realizzata utilizzando “fino al 50% di plastica riciclata”, il massimo consentito dalla normativa fino a poco tempo fa. È stato approvato solo a ottobre 2020, infatti, un emendamento che rende possibile anche nel nostro Paese la produzione di bottiglie in rPet al 100%. Eppure la tecnologia (italiana) c’era già: la Sipa, azienda trevigiana del gruppo Zoppas, ha venduto macchinari in Medio Oriente, Brasile e Giappone, dove si riducono così del 60% le emissioni di CO2 e del 30% l’impiego di elettricità. L’acqua minerale Ferrarelle da 1,5 litri è venduta in bottiglie ottenute con il 50% di rPet, ricavato dalle bottiglie vuote recuperate dal circuito dei contenitori. Da settembre 2020 anche Acqua Frasassi ha messo in vendita le bottiglie da mezzo litro realizzate per il 50% in rPet. La San Pellegrino (che fa capo al gruppo Nestlé e controlla anche Levissima, Vera e Panna) si è posta l’obiettivo di raggiungere, entro il 2025, il 35% di Pet riciclato per tutti i suoi prodotti. Per le bottiglie di Levissima e Acqua Panna, invece, si punta al 50% e Levissima ha già in commercio la nuova bottiglia con il 30% di rPet.

LA CULTURA DELL’USA E GETTA – Occorre capire, però, se è la direzione giusta. Restiamo sulla bottiglia d’acqua: se pesa meno e arriva ad essere riciclata, questo comporterà un risparmio in termini di CO2 prodotta e, dunque, la sgrammatura è un’azione comunque positiva. Ma se la bottiglia all’impianto di riciclo non arriva per una serie di ragioni – nel 2017 il tasso di riciclo delle bottiglie in Pet messe sul mercato era fermo al 46%, secondo un altro studio Eunomia – il peso conta poco: resta una bottiglia dispersa nell’ambiente. A spiegarlo a ilfattoquotidiano.it è Enzo Favoino, referente scientifico di progetto per la Scuola Agraria del Parco di Monza e coordinatore scientifico di Zero Waste Europe. “La tonnellata ha la sua importanza in termini di riduzione di gas serra e di ricorso al petrolio – aggiunge – ma dal punto di vista della dispersione la sgrammatura non è risolutiva”. Secondo Favoino il problema non è tanto (e solo) la plastica, dato che “più del 50% della plastica è durevole, non si disperde e rimane immobilizzata nelle nostre case. L’importante è riciclarla bene e su questo l’Europa si sta adoperando”. Il problema, allora, è quello più generale della cultura dell’usa e getta.

RISPOSTE MARGINALI – Favoino è tra gli autori di un articolo pubblicato a luglio 2020 su Science, con i risultati di uno studio più ampio condotto (sotto il coordinamento della ong PEW Trust) da un pool di ricercatori internazionali, per stimare l’efficacia di interventi tesi a ridurre l’inquinamento da plastica, dal ‘business as usual’ (ossia che nulla cambi rispetto ad oggi) fino agli scenari di intervento più radicale. Secondo lo studio l’implementazione congiunta di tutti gli interventi ridurrebbe, nel 2040, l’inquinamento da plastica del 40% rispetto al 2016 e del 78% rispetto al ‘Business as usual’. Scenari catastrofici, invece, sono previsti se nulla cambiasse: la dispersione di plastica nei mari e negli oceani aumenterebbe dagli attuali 8 milioni di tonnellate all’anno a circa 30 milioni di tonnellate nel 2040. “Ma anche gli ‘impegni volontari’ – spiega Favoino – definiti da alcuni grandi produttori e utilizzatori di plastica (in genere impostati sull’aumento delle capacità di riciclo e sull’impiego di quote crescenti di polimeri riciclati) danno una risposta del tutto marginale ed insoddisfacente al problema, riducendolo per una percentuale che arriva al massimo al 7%”. Ecco perché “è meglio investire sulla riduzione dei numeri, su restituzione e riuso, design degli imballaggi e durevolezza, ricordando che il riciclo è solo il piano b”.

COSA SI MUOVE – C’è una previsione interessante, all’interno della direttiva Sup (Single Use Plastics) sulla plastica monouso, che dovrà essere recepita entro luglio 2021, e riguarda l’obiettivo di raccolta differenziata delle bottiglie al 90%. “Si tratta di un obiettivo molto più elevato rispetto agli altri – commenta Favoino – per arrivare al quale l’unico strumento è il deposito cauzionale. Solo che finora in Italia abbiamo avuto solo un circuito sperimentale nel settore degli hotel-ristoranti-mense”. Questo strumento, come la possibilità solo recente di realizzare bottiglie non più solo con il 50% di Pet riciclato, “aiuta la raccolta in purezza, migliorando il riciclo, ma anche l’eventuale passaggio al riutilizzo”. Finora frenato per vari motivi. L’Antitrust ha appena sanzionato il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica, accusato di aver tagliato fuori dal mercato il Consorzio dei produttori di bottiglie in plastica ostacolando “l’innovazione nei servizi di avvio a recupero e riciclo delle bottiglie in pet per uso alimentare”.

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