Come ormai ampiamente noto, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), detto anche semplicemente Recovery plan, rappresenta il punto di riferimento ufficiale per lo sviluppo economico e industriale nel nostro paese nei prossimi anni. Articolato in sei missioni, a cambiare rispetto alla versione precedente redatta da Giuseppe Conte è sostanzialmente l’entità delle risorse messe a disposizione per ognuna: si riducono complessivamente i fondi per ogni settore di intervento, tranne che per la voce “istruzione e ricerca”, che aumenta la sua dotazione.

Nello specifico, la ripartizione delle risorse per singola missione è la seguente:

– Rivoluzione verde e transizione ecologica: 59,33 miliardi;

– Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura: 40,73 miliardi;

– Istruzione e ricerca: 30,88 miliardi;

– Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 25,13 miliardi;

– Inclusione sociale: 19,81 miliardi;

– Salute: 15,63 miliardi.

In totale 191,51 miliardi, ai quali vanno aggiunte le risorse provenienti dal Fondo cosiddetto complementare e da React-Eu, lo strumento previsto nell’ambito di Next generation Eu: un input di fondi aggiuntivi per la Politica di coesione 2014-2020, in attesa della piena operatività della programmazione dei Fondi strutturali europei 2021-2027. Queste missioni comprendono, a loro volta, una serie di componenti funzionali per realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del governo e articolate in linee di intervento che comprendono una serie di progetti, investimenti e riforme collegate. E non dimentichiamo la premessa, ossia che l’impatto della pandemia in Italia è stato più forte che in altri paesi europei: oltre 120mila decessi, con il nostro Pil che si è ridotto dell’8,9% a fronte di un – 6,2% dell’Ue.

Negli ultimi dieci anni, in Germania, Francia e Spagna l’aumento del Pil è stato, rispettivamente, del 30,2, del 32,4 e del 43,6% contro il 7,9% in Italia. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 6,2% tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo. Nel nostro paese, i poveri cosiddetti assoluti sono passati dal 3,3 al 9,4%. Gli impatti ambientali, vista l’orografia del nostro paese, saranno particolarmente avversi. Dobbiamo assolutamente cambiare passo e le decisioni che il nostro paese assumerà in campo energetico-ambientale saranno decisive.

Ci auguriamo che il dibattito che seguirà, soprattutto a livello istituzionale, sia costruttivo e veramente mirato a migliorare quanto prodotto finora. E di cose da migliorare certamente non ne mancano. Quello che non vogliamo assolutamente vedere è la mole di chiacchiere sterili che di solito accompagnano l’avvicinarsi di una tornata elettorale o la spartizione di cospicue quantità di denaro.

In generale, si è notata la poca attenzione alla tematica “ambientale” nel vero senso del termine, e non come la intende Confindustria; il fatto di non vedere finanziamenti diretti al progetto Eni di stoccaggio della CO2 a Ravenna va senz’altro valutato positivamente. Nelle prossime settimane si capirà meglio cosa c’è realmente dietro. Questa è la più grande occasione che l’Italia ha di modificare, in alcuni casi cambiare radicalmente, il proprio corso e, finalmente, mettersi alla testa dei paesi che guidano la transizione verso un’Europa realmente sostenibile. Un paese sostenibile è fatto di più energie rinnovabili, efficienza energetica e trasporto pubblico locale efficiente e sostenibile, ambiti ove le nuove generazioni e le donne abbiano il ruolo che meritano, più che ingenti investimenti sull’idrogeno e l’alta velocità.

Queste criticità sono state messe in evidenza chiaramente da FacciamoEco, nuova componente del gruppo misto alla Camera dei deputati costituitasi lo scorso 9 marzo. L’intento è quello di riportare in Parlamento le istanze ecologiste mettendole al centro del dibattito e fungendo da tramite tra le istituzioni, la società civile e l’associazionismo ecologista; obiettivi che anche altri attori nel panorama nazionale si sono posti ma che, in generale, lamentano il loro scarso o inesistente coinvolgimento nella fase di predisposizione del Piano. Mancato coinvolgimento che ha riguardato in generale tutta la società civile. Non appena saranno noti tutti i dettagli tecnici, l’impostazione della riforma fiscale e il ruolo effettivo della sostenibilità ambientale, allora capiremo se da questo Piano scaturiranno soluzioni e non invece ulteriori problemi. Al momento permangono forti dubbi, soprattutto se si osserva come la sostenibilità ambientale viene concepita e promossa nel nostro paese.

Nell’elenco dei 150 “Leader della sostenibilità” pubblicato in un recente rapporto del Sole24Ore, per esempio, figurano aziende che hanno fatto la storia della devastazione ambientale nel nostro paese. È possibile che alcune di loro si siano veramente convertite alla sostenibilità, quella vera e non di facciata, ma dubito che questo sia il caso per alcuni grandi colossi energetici presenti nella lista. Ci sono tanti modi per sviare l’attenzione ed è per questo che risulterà fondamentale il ruolo di ognuno di noi nell’indirizzare le decisioni, anche di quelle grandi aziende che sembrano sempre intoccabili.

Ricordiamocelo sempre: sono le nostre scelte di acquisto a decretare il livello di successo delle aziende; ad esempio, la scelta del contratto da sottoscrivere per la fornitura di energia per la nostra casa o azienda, o la selezione degli alimenti con i quali nutrirci, sono due ambiti ove noi consumatori possiamo incidere e parecchio, praticamente ogni giorno.

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