Per toccare con mano l’entità del fallimento del cashback di Stato, in particolare con riferimento al “superbonus” da 1500 euro, è sufficiente fare un giro sui numerosi gruppi Facebook attraverso i quali “concorrenti” del concorsone di Stato si scambiano, informazioni, suggerimenti e a volte semplicemente sfoghi.

Se prometti 1500 euro (che è una mensilità netta per molti lavoratori dipendenti anche con 15-20 anni di anzianità) ai primi 100mila italiani che faranno più transazioni su un arco di sei mesi come pensi che possa reagire la popolazione?

Al 30 giugno per entrare in classifica occorrevano 740 operazioni su 179 giorni pari a una media di circa 4 transazioni al giorno. Non sembrano tantissime, ma il giorno prima erano 721, 702 quello prima ancora e 689 il precedente. Stiamo dicendo che le 100mila persone che concorrono per il premio hanno fatto in media 50 transazioni in 3 giorni. Ammettendo che tra questi ci siano anche persone che hanno avuto un comportamento più vicino alla media storica di 4, si può ipotizzare che ci sia qualcuno che ha fatto anche 70 o 80 transazioni in questi 3 giorni. Siamo ai limiti della ludopatia.

La pessima idea di premiare i primi 100mila, senza scomodare i casi grotteschi di chi ha acquistato un pos su Amazon o di chi fa micro rifornimenti di carburante da pochi centesimi, vuol dire che, come minimo, una rilevante quantità di persone ha frazionato o anticipato in modo intensivo spese che avrebbe fatto in modo aggregato o dilazionato nel tempo. A chi giova tutto questo? Non alla diffusione dei pagamenti elettronici, perché ha solamente indotto chi li realizzava già a frazionali o anticiparli. Non alla lotta all’evasione fiscale, perché gli esercenti e professionisti evasori, che simulavano pos rotti o offrivano sconti in cambio di mancata fatturazione non sono stati toccati dalla misura.

Al di là del folklore del concorsone di Stato e della propaganda che ne ha accompagnato la diffusione, la misura introdotta dal governo Conte era un sussidio ingiusto, quasi inutile ai fini della diffusione dei pagamenti digitali e in definitiva un grosso spreco di denaro dei contribuenti.

Un sussidio ingiusto perché destinato a cittadini che hanno già una discreta alfabetizzazione informatica (occorre usare l’App IO e caricarvi le proprie carte di pagamento oltre a possedere uno Spid) e una certa dimestichezza con i pagamenti digitali (ne hanno fatti 4 al giorno per sei mesi, probabilmente oltre 10 in alcune fasi del processo) e che verosimilmente hanno una combinazione di reddito/istruzione superiore alla media della popolazione.

Uno spreco inutile perché il contributo al contrasto all’evasione tanto quanto quello alla diffusione dei pagamenti digitali, non è provato ed appare logicamente inverosimile: la misura induce chi pagava già in digitale e disponeva di uno Spid a farlo in modo frazionato, anche anticipando l’acquisto di beni durevoli, senza alcun beneficio per la collettività.

C’è dunque da augurarsi che l’annunciata sospensione del programma venga poi ratificata in una cancellazione definitiva e che le risorse sottratte allo spreco e ai sussidi ingiusti vengano opportunamente indirizzate ad impieghi più utili alla società e meno iniqui nei confronti dei cittadini meno abbienti e meno istruiti.

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