Non è sorprendente che il governo di Ankara stia cercando con diverse azioni di forza di reprimere l’opposizione interna. In particolare negli ultimi mesi sta cercando di eliminare il partito Hdp, accusato di essere il braccio politico del Pkk. Le ultime notizie riportano la decisione della Corte Costituzionale di procedere con l’iter per la messa al bando del partito filo curdo. Secondo il presidente turco Erdogan il partito incriminato sostiene il suo principale nemico interno, il Pkk.

L’aggressione governativa verso quello che è il terzo partito del paese aggiunge un nuovo elemento allo scenario politico espresso dal governo del partito Akp, che già da tempo esprime una sorta di regressione in seno alla società turca o almeno alla sua leadership. Questa situazione di costante tensione e di frammentazione si nota sia all’interno del partito al potere sia in relazione all’esterno, basti pensare alle varie scissioni che si sono susseguite negli ultimi due anni, che hanno dato vita a realtà partitiche poste all’opposizione rispetto al partito del presidente Erdogan, contendendogli il potere politico.

Tornando alla questione della messa al bando dell’Hdp, questa azione non è stata facile, infatti non è semplice sradicare un partito rappresentativo che ha una forte base elettorale. È necessario un procedimento complicato, che ad oggi è solo all’inizio del suo percorso. La cosa più grave in tutta questa situazione è che il governo è riuscito a fare in modo che un organo istituzionale, che dovrebbe essere al di sopra delle parti, in realtà legittimi con le sue azioni le direttive del governo dell’Akp, creando di fatto una crisi dei fondamenti della democrazia, la stessa democrazia decantata dal presidente Erdogan, che in un recente discorso a proposito della riforma costituzionale ha dichiarato che la Turchia diventerà a breve il paese più democratico dell’area.

Sappiamo tutti qual è la situazione della Turchia: Erdogan nel corso degli anni ha lavorato alacremente per far diventare la sua nazione un centro strategico regionale, ponendo in essere una linea di politica estera a tratti aggressiva, che mirava esclusivamente a rendere la Turchia una potenza regionale di prima grandezza, basti ricordare la famosa politica di “zero problemi con i vicini”. Oggi sostanzialmente si registra il fallimento di questa linea politica, fallimento testimoniato dai rapporti sempre altalenanti con Unione Europea, Usa, Russia e i vicini paesi arabi.

Considerando la situazione internazionale ci si potrebbe aspettare che almeno a livello interno le condizioni siano favorevoli al governo, invece non è così: infatti la situazione è e rimane estremamente complicata e instabile, sia dal punto di vista politico che economico. Questa persistente instabilità può, con il passare del tempo, diventare un fattore di rischio interno molto serio e di difficile gestione.

È molto difficile pensare che Erdogan riesca ad eliminare tutti i suoi antagonisti politici senza che questo possa creare una frammentazione socio-politica capace di produrre un’instabilità che andrà oltre la semplice dialettica politica. A breve si potrebbero verificare proteste e manifestazioni aggressive che potrebbero degenerare in scontri aperti. Già il fatto che per procedere contro i suoi oppositori spesso il partito al potere abbia prodotto, attraverso i suoi organi, delle prove pretestuose o palesemente inesistenti mette in pericolo la credibilità del governo e mette in crisi il sistema Stato, creando una situazione in cui predomina l’anti-Stato.

Le manifestazioni in cui si concretizza quest’ultimo sistema possono facilmente sfociare in episodi di terrorismo interno, prendendo di mira i simboli dello stato. Si prospetta che la repressione di cui è vittima il partito Hdp possa innescare la scintilla che porti a galla i problemi turchi, problemi che comunque non potranno rimanere latenti ancora per molto tempo.

Dal punto di vista internazionale tutto tace, infatti la comunità internazionale, ormai avvezza alle azioni del governo di Ankara, non ha ancora espresso un parere rispetto ai pericoli che corre la democrazia in Turchia.

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