Comincia a scricchiolare quel mondo della logistica dove pochissimi fanno fortuna e si arricchiscono facilmente, a un prezzo enorme per la collettività: oltre all’alta intensità di lavoro e allo sfruttamento di magazzinieri e autisti dei camioncini, non vanno dimenticati infatti gli affari immobiliari per chi vende terreni agricoli da trasformare in magazzini, le speculazioni edilizie.

La pianura padana – da Novara a Padova, passando per Milano, Bergamo, Brescia, Piacenza, Verona, Bologna – è diventata negli ultimi anni il simbolo del consumo di suolo, un susseguirsi ininterrotto di ‘hub’ logistici sorti uno accanto all’altro senza nessuna pianificazione territoriale, con i comuni che approvano continue varianti ai piani regolatori che snaturano il territorio, incassando in cambio pochi spiccioli di oneri urbanistici. Ma sconvolgendo la vita dei territori con il traffico di Tir e camioncini, l’inquinamento dell’aria e le importazioni di intere comunità etniche e relative famiglie in centro agricoli semi abbandonati.

Nel frattempo, all’altro capo della filiera, la grande distribuzione e le piattaforme logistiche dell’e-commerce stanno mostrando tutta la loro capacità di sviluppo, piegando alle proprie volontà un sistema di vendita che desertifica i centri storici e costringendo alla chiusura il commercio di vicinato.

Ma questo Eldorado per pochi si sta rivelando un Far West privo di regole per chi ci lavora, e senza regole a vincere è sempre il più forte. Gli ultimi due gravi episodi di Novara e Tavazzano, con blocchi stradali e scontri tra guardie aziendali e scioperanti mentre la polizia si limitava ad osservare, ci mettono di fronte ad una realtà che non può più essere tollerata.

Continui cambi di cooperative, aziende fittizie che nascono e muoiono in continuazione per evitare tasse e contributi e per assicurare la precarietà di fatto, e quindi la sudditanza dei lavoratori, turni massacranti, salari da fame, regole contrattuali aggirate, sicurezza inesistente, contrasti tra sindacati confederali ed autonomi per la rappresentanza della manodopera, nuove forme di caporalato etnico: tutti questi elementi sono alla base di una pesante situazione che ci porta indietro di mezzo secolo.

Soddisfare i consumi degli italiani facendo ritornare alla schiavitù salariale i lavoratori e consentendo l’enorme consumo di suolo guidato da società immobiliari che “pianificano” l’uso del territorio al posto di enti pubblici completamente assenti non è certo un attestato di democrazia per il nostro Paese.

Stanno lì a dimostrarlo gli accadimenti di questi giorni davanti ai magazzini della grande distribuzione e della logistica del Nord Italia. Tensioni, pestaggi, blocchi davanti ai cancelli sono all’ordine del giorno. Il fenomeno non è nuovo, ma al ministero dell’Interno la politica è sempre più quella di Ponzio Pilato, nonostante siano passati cinque anni dalla morte dell’operaio Abdesselem El Danaf, travolto anche lui da un tir mentre partecipava a un picchetto davanti alla sede del corriere Gls di Piacenza. Lo stesso destino toccato ieri a Novara al sindacalista Adil Belakhdim.

I magazzini della grande distribuzione (Lidl, Esselunga, Carrefour, Conad, Coop), oltre a quelli dei giganti dell’e-commerce crescono come funghi per soddisfare una domanda incredibilmente tumultuosa: sono i luoghi dove si stoccano e si smistano le merci che andranno ad alimentare gli scaffali dei supermercati a riempire le mensole di casa nostra. La grande distribuzione e le piattaforme logistiche committenti delle attività distributive e di consegna non possono lavarsene le mani e non assumersi una parte di responsabilità per come avviene questa importante fase del processo produttivo.

D’altra parte, poi, i contratti del commercio e del trasporto merci si devono “parlare” e la conflittualità sindacale va regolata da un quadro legislativo, visto che, lasciata in mano ai sindacati, essa acuisce e non supera i contrasti per la gestione della rappresentanza, che spesso finiscono, anche questi, in rissa.

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