“Ci sono i messi per una notifica”, così la segretaria del sindaco (io), outsider appena eletto dopo una stagione di ruberie, arresti, inchieste e media costantemente in tiro con un articolo al giorno sulla tangentopoli piemontese di 25 anni fa, generata dalla costruzione della Shopville Le Gru e conclusasi nel 2002 con il pagamento di 7,5 milioni di euro al Comune.

Una firma in calce, consegna del plico con aria sorniona (il contenuto loro lo conoscevano, l’avevano ricevuto per fax, vuoi che prima di imbustarlo non avessero dato uno sguardo?), tanti saluti e poi via. Apro il plico e scopro un’informazione di garanzia – per me una novità nonostante le tante battaglie e i tanti avversari – e trasalisco: indagato per via di un incidente sul lavoro occorso a una bidella (allora erano dipendenti comunali) di una scuola materna statale della città. Mente lavava le stoviglie era scivolata sul pavimento bagnato causandosi un infortunio di media gravità, prognosi 90 giorni. Dato che ero il sindaco, la massima autorità del Comune, toccava a me risponderne, cioè provare che il pavimento era regolarmente antiscivolo, che la bidella aveva l’equipaggiamento giusto e che tutte le strutture erano a norma di legge.

La questione si risolse, poi, con un interrogatorio davanti al magistrato incaricato in cui, dando conto della struttura amministrativa del comune – che contava allora oltre 300 dipendenti, 7 dirigenti e un direttore generale – gli si rappresentò il quadro delle responsabilità, dimostrando inoltre che nel Bilancio comunale c’erano gli stanziamenti per la realizzazione di opere per la messa in sicurezza degli edifici comunali e che, nella fattispecie, il pavimento incriminato era appena stato sostituito con materiale certificato antiscivolo.

L’episodio è lontano nel tempo, ma ciclicamente queste storie ricompaiono nelle cronache nazionali perché si trova sempre qualche magistrato con poca dimestichezza con l’ordinamento degli enti locali e le novità introdotte dalle quattro Leggi Bassanini, che vent’anni fa hanno separato la decisionalità politica dalla gestione tecnico-amministrativa di comuni e province. Il caso della sindaca di Crema, incredibilmente chiamata in causa per il malfunzionamento di una porta ignifuga in una scuola, rientra purtroppo in questa casistica e non sono inutili le attestazioni di solidarietà, specie quando mettono in luce una criticità forte nell’esercizio di una carica elettiva fortemente personalizzata.

Ne sa qualcosa Chiara Appendino, sindaca di una città di 900mila abitanti circa, fresca di condanna per i gravissimi fatti di piazza San Carlo come se fosse lei a dover sorvegliare l’ordine pubblico nel parcheggio sotterraneo di una città con Polizia Municipale, forze dell’ordine, Prefettura e Questura (nei salotti torinesi c’è perfino chi la chiama “assassina”, a testimonianza della barbarie diffusa anche dove non te lo aspetti).

Non stupisce perciò un’altra inchiesta torinese che vuole accertare le responsabilità di sindaci e assessori relativamente alle mancate politiche di contenimento delle emissioni in atmosfera, così che l’aria della città sfora continuamente i limiti di legge: alcuni amministratori del passato hanno già ricevuto gli avvisi di garanzia, forse dovrebbero riceverli anche i loro elettori.

Guai confondere queste esibizioni giudiziarie con le vere vertenze ambientali, quelle sacrosante e necessarie e nelle quali il reato di abuso d’ufficio è solo la ciliegina finale su una torta che di reati ne contempla diversi. Ilva di Taranto docet.

Per correggere questa esasperazione personalistica che rende il sindaco responsabile di tutto bisognerebbe porre qualche limite e attivare alcune garanzie che fungano da tutela dell’amministratore quando opera senza dolo o colpa grave. I primi refrattari ai limiti però sono proprio i sindaci: assumere il direttore generale, nominare e scaricare dirigenti a tempo, assessori, scegliere senza rendere conto i rappresentanti negli enti strumentali, ricordare ai consiglieri che vanno a casa se fanno i cattivi sono tutte prerogative in capo ai sindaci che non tutti, per fortuna, utilizzano con l’arbitrio che la legge concede loro.

In parecchi hanno però rinunciato a costruire una struttura comunale capace, sempre e in ogni situazione, di applicare le leggi e i regolamenti nella realizzazione del programma del sindaco, senza cedimenti alle interferenze e alle intromissioni di chicchessia. Questo sarebbe il vero antidoto alla sovraesposizione dei sindaci, che in cambio dovrebbero rinunciare ai dirigenti lacchè a favore di professionisti che a volte dicono anche di no. Rinunciare a tutto questo o anche solo accettare limitazioni non piace ai più, pronti a reclamare ogni volta che qualche freno arriva da Roma, parlando di “mani legate”, di “vincoli, lacci e lacciuoli”. Difficile in un quadro così accentrato proporre in modo convincente l’abolizione del reato di abuso d’ufficio; difficile soprattutto dare corpo, fuori dai piagnistei strumentali, a una limitazione dello stesso.

Anche perché non sono tutti come la sindaca di Crema: ci sono un sacco di furbacchioni che approfittano della carica per orientare l’attività degli uffici perfino nel delicato settore delle gare e degli affidamenti a terzi di servizi per conto del comune. Per capire di cosa si parla, basta leggere le confessioni dell’ex sindaco di Lodi, recentemente assolto in Appello con grande clamore mediatico soprattutto dei giornalisti da passeggio (una leccata e via, così il piacere dura di più) anche perché oggetto delle scuse indebite del giovane ministro degli Esteri.

O del sindaco beccato a non pagare le tasse comunali sulla sua casa nel comune che amministra, che ha preferito dare la colpa alla moglie. O come nel caso dell’ex sindaco di Firenze e delle fatture dei suoi pranzi a spese del comune.

Alla sindaca di Crema, insieme alla solidarietà, vanno riconosciute due importanti qualità, da sole un manifesto politico: la sobrietà con cui ha dato conto della vicenda, che segna i piagnistei di molti suoi colleghi, e la scelta del luogo, il consiglio comunale, cioè la sede della democrazia cittadina.

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