Sta facendo parlare di sé in questi giorni la riforma dibattuta in Senato dell’articolo 9 della Costituzione. In pratica dopo le parole “[la Repubblica] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” verrebbe aggiunto un nuovo comma: “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme della tutela degli animali”.

In realtà, a tacere sul fatto che la Corte Costituzionale si è più volte espressa sull’importanza dell’ambiente come bene fondamentale della Repubblica, resta che di tutela dell’ambiente parla già l’art. 117 della Costituzione riservandone la potestà legislativa allo Stato: “s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Quindi la difesa dell’ambiente rientra appieno già oggi fra i compiti della nostra Repubblica. A parole. In realtà, quando si tratta poi di passare dalle parole ai fatti, in Italia ci si comporta in modo tutt’affatto diverso. Del resto, il nostro paese è pieno di norme in cui nel preambolo si afferma una cosa e poi nell’articolato si dispone l’esatto contrario.

Partiamo dalla norma base, che prevede la difesa del paesaggio. Basterebbe citare una storia per dimostrare quanto ci si creda. Nel 1939, in piena epoca fascista, furono promulgate le cosiddette “leggi Bottai”, dal nome del proponente. Erano ottime norme. Un articolo dello storico Antonio Paolucci, sulla Treccani, afferma che la prima, sulla “Tutela delle cose di interesse artistico e storico”, del 1° giugno 1939 n.1089, “era e resta un capolavoro di civiltà e di sapienza giuridica”. Ad essa, pochi giorni dopo, seguì l’altra fondamentale legge Bottai, la n.1497 del 29 giugno 1939, “Protezione delle bellezze naturali”, sulla scorta della quale una buona parte del paesaggio italiano fu vincolato. Inoltre, essa prevedeva, al comma 5, come efficace strumento di tutela per il futuro, il “piano territoriale paesistico”, che doveva essere redatto dall’allora ministro per l’Educazione nazionale.

Ci fu la guerra, la norma rimase inapplicata, ma tale rimase anche con il passaggio dalla dittatura alla democrazia, anche con la Costituzione, anche con il suo art.9. Occorre arrivare al decreto legge Galasso nel 1985 (ben 46 anni senza fare nulla, tanto era importante appunto l’art. 9) perché i piani, definiti adesso “paesaggistici”, tornino di moda e siano di competenza delle singole regioni. Norma poi mutuata dal Codice dell’Ambiente. Bene, ad oggi sono solo cinque le regioni che il piano l’hanno adottato, ma di fatto esso non serve a nulla perché non ha posto dei reali vincoli al territorio oltre a quelli già esistenti.

Del resto il Parlamento, che oggi è così solerte nel voler modificare l’art. 9 della Costituzione, non promulga la legge di tutela del suolo che giace da anni nei cassetti. E in Italia si continua a perdere suolo fertile alla media di due metri quadrati al secondo. Stesso discorso per l’ambiente, con l’aria ammorbata, le fabbriche dei veleni (Taranto, PFAS), i fiumi in secca, le grandi opere, e quant’altro.

Insomma, l’aggiunta della parola “ambiente” e delle ridondanti, pleonastiche parole “biodiversità” e “ecosistemi” pare solo, ed è nei fatti, un’operazione di maquillage, di semplice facciata, che nulla cambia rispetto alla triste realtà che ci circonda.

Stesso discorso per la tutela degli animali. E qui siamo letteralmente al ridicolo. Viviamo in un paese in cui la caccia è legale e si spara persino alle allodole, in cui si mettono in prigione gli orsi, in cui si prospetta di uccidere i lupi, e questo senza parlare degli animali cosiddetti (orribile locuzione) “da reddito” e delle condizioni in cui vivono. Cosa cambierà quando la tutela degli animali verrà introdotta in Costituzione? Volete che ve lo dica? Ci siete già arrivati: zero.

Del resto, la riprova che non cambierà nulla è data dal fatto che la revisione è stata approvata all’unanimità. I partiti del cemento e della caccia tutti uniti nel ritenere che si debbano tutelare l’ambiente e gli animali. Pare di essere dentro il teatro dell’assurdo: con anche modesti commedianti.

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