Nel Regno Unito aumentano i contagi sotto la spinta della variante indiana, che sembra comunque avere un impatto marginale sui casi gravi di Covid. La mutazione cosiddetta ‘indiana’ sta diventando prevalente nelle isole britanniche, provocando una risalita dei nuovi casi, ma l’effetto dei vaccini limita comunque la pressione sulle strutture ospedaliere. È quanto emerge dai dati dell’Istituto nazionale di statistica britannico (Ons), ma l’ascesa preoccupa comunque il governo che se da un lato ad oggi non prevede un rinvio dello stop alle ultime restrizioni, previsto il 21 giugno, dall’altro predispone una nuova accelerazione della campagna vaccinale per neutralizzare gli effetti della variante. Tra le aree più colpite nelle scorse settimane c’è stata quella di Glasgow, in Scozia, ma la premier Nicola Sturgeon ha comunque confermato l’abbassamento del livello di allerta da 3 a 2 specificando che l’immunizzazione permette di fronteggiare la variante “in modo diverso”, anche se l’indice Rt scozzese è il più alto tra le nazioni del Regno Unito.

La prevalenza della variante indiana, ad oggi, si aggira in una forchetta tra il 50 e il 75 per cento e, stando ai dati riportati dai media inglesi – i decessi per Covid nel Regno sono cresciuti del 14% nell’ultima settimana, rimanendo in ogni caso su numeri assoluti molto bassi. Sabato pomeriggio il governo ha segnalato 3.398 casi nelle precedenti 24 ore nel Regno Unito dopo i 4.182 di venerdì, il dato più alto degli ultimi due mesi. I decessi per Covid sono invece stati 7 portando il totale a 57 nell’ultima settimana. Il ministro della Sanità, Matt Hanckok, in un tweet ha intanto reso noto le nuove percentuali della campagna di vaccinazione con il 74,2% degli adulti che hanno avuto almeno una dose e il 47,3% che sono immunizzati completamente.

Sui rischi della variante indiana – che in Italia secondo l’ultima survey dell’Iss rappresenta l’1% dei nuovi contagi – si è espresso l’immunologo dell’università di Milano e componente del Cts, Sergio Abrignani: “Da una parte vediamo una variante molto contagiosa e il nostro problema è fermarla prima che arrivi da noi, visto che in Italia ancora praticamente non c’è. Gli inglesi non hanno fatto niente di sbagliato, probabilmente però contro l’indiana c’è bisogno di aver fatto due dosi di vaccino, con una non si è protetti abbastanza. Del resto hanno fatto tantissime prime somministrazioni”, ha detto in un’intervista a La Repubblica.

“Il fatto che i casi generalmente non siano gravi ci fa ben sperare sul fatto che i vaccinati non si ammalino in forma severa – aggiunge – Anche se la variante indiana dovesse arrivare qui, quindi, probabilmente non metterebbe sotto pressione il nostro servizio sanitario”. Contro le varianti ad oggi note, ha detto ancora Abrignani, la prima dose “dà già una copertura compresa tra il 60 e il 70 per cento”, mentre per l’indiana i dati “sembrano più bassi”. Ora, ha concluso, “l’importante adesso è vaccinarsi più in fretta possibile sperando di evitare la nascita di varianti peggiori dell’indiana”.

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