Secondo gli assessori all’Agricoltura di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia in gioco ci sono 400 milioni di euro. Il ministero li ridimensiona a 50. Meno rispetto a quanto gli stessi enti rischiano di perdere perché finora sono stati troppo lenti nell’utilizzare le risorse arrivate da Bruxelles. Abbastanza, però, perché le cinque Regioni del Sud Italia (più l’Umbria) blocchino da molti mesi la proposta di ripartizione dei 3,9 miliardi di Fondo europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale per il biennio 2021-2022 avanzata dalla maggioranza dei governatori. Uno stallo che sta danneggiando le aziende agricole in attesa di finanziamenti. Ora il tempo è finito: alla Conferenza Stato-Regioni non si è trovata un’intesa e la palla passa al consiglio dei ministri. Il titolare delle Politiche agricole Stefano Patuanelli deve decidere se portare in cdm la sua ipotesi di mediazione, già rifiutata dai sei ribelli nonostante preveda cambiamenti minimi rispetto alla situazione attuale. Negli ultimi giorni però i toni si sono alzati anche all’interno del Movimento 5 Stelle, fino a voci di possibili dimissioni dello stesso Patuanelli. E giovedì 27 senatori hanno presentato un‘interrogazione al “loro” ministro, accompagnata dalla richiesta di “tutelare” le Regioni che la sua proposta “andrebbe a danneggiare”.

Un passo indietro. Con il fondo europeo Feasr vengono finanziati, nell’ambito della Politica agricola comune dell’Unione ora in fase di aggiornamento, i cosiddetti piani di sviluppo rurale. Che stando ai regolamenti europei puntano a migliorare la competitività del settore agricolo, garantire una gestione sostenibile delle risorse naturali, promuovere azioni per il clima e raggiungere uno “sviluppo territoriale equilibrato delle economie e delle comunità rurali, compresa la creazione e il mantenimento di posti di lavoro“. All’Italia spettano, per il periodo di programmazione 2021-2027, quasi 10 miliardi a cui si somma altrettanto a titolo di cofinanziamento nazionale. Il 16 gennaio 2014, quando in Conferenza delle regioni e province autonome furono firmati i precedenti criteri di riparto, i governatori si impegnarono a rivederli alla fine di quel settennato di programmazione. Il passaggio però si è sovrapposto ai negoziati per modificare la Pac, ritenuta tra l’altro colpevole di penalizzare le piccole aziende agricole in favore di quelle con una gestione di tipo “industriale”.

E’ in questo quadro che, nel novembre 2020, 15 tra Regioni e Province autonome hanno concordato alcuni nuovi parametri di ripartizione da utilizzare nel biennio di transizione 2021-2022, per il quale riceveremo 3,9 miliardi. Quattro criteri oggettivi: il numero di aziende agricole sul territorio, la superficie agricola utilizzata e quella forestale, la produzione agricola. Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Umbria hanno da subito fatto muro, perché su quella base ci avrebbero perso rispetto alla ripartizione precedente che le ha viste destinatarie di circa metà dei 10,4 miliardi complessivi. Nella loro interpretazione quei fondi vanno usati per migliorare le condizioni di vita nelle aree più povere e depresse, indipendentemente da quanto i terreni sono sfruttati per usi agricoli. Anche se, stando agli ultimi dati ufficiali aggiornati a fine marzo, proprio questi enti sono fanalino di coda nella capacità di spesa delle risorse: per le cinque del Sud la percentuale di avanzamento nell’uso dei fondi si ferma al 54,7% contro una media italiana del 59,2.

Per arrivare a una mediazione, in marzo Patuanelli aveva proposto di utilizzare i nuovi criteri solo per il 30% dei fondi nel 2021, percentuale che sarebbe poi salita al 70% nel 2022. Dopo il niet dei sei, alla Stato-Regioni del 28 aprile le quote sono state decisamente ritoccate al ribasso: quest’anno solo il 10% verrebbe ripartito con il nuovo metodo e il 90% con i vecchi criteri, di fatto quasi annullando lo svantaggio per il Sud rispetto al riparto storico. Nel 2022 la ripartizione passerebbe a 30% con i nuovi parametri e 70% con quelli vecchi. Il Mipaaf stima che la Campania perderebbe il 2,5%, la Sicilia lo 0,8%, la Basilicata lo 0,2%. Per Calabria e Puglia nessun taglio, neanche minimo.

Ma c’è un altro aspetto che suggerisce cautela prima di gridare allo “scippo”. Puglia, Sicilia e Campania sono anche le Regioni a maggior rischio di “disimpegno“, cioè di perdere – perché la Commissione potrebbe chiederli indietro – i soldi non utilizzati nei tre anni successivi allo stanziamento. Se non accelerano, al 31 dicembre dovranno dire addio rispettivamente a 202, 108 e 85 milioni di euro risalenti al 2018 e non ancora spesi. Più delle cifre che “ballano” con la nuova proposta di riparto.

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