IQVIA, Lusha, ColdCRM questi tre nomi probabilmente non vi diranno niente, eppure queste tre aziende sanno su di voi più di quanto potreste immaginare. La trasmissione d’inchiesta francese Cash Investigation, nel suo ultimo servizio “Nos données personnelles valent de l’or !” (“I nostri dati personali valgono oro”) disponibile in anteprima online e che andrà in onda su France 2 giovedì 20 maggio, si è dedicata al business che gira attorno al commercio dei nostri dati personali tramite i cosiddetti “data broker”.

La giornalista Elise Lucet ha ricevuto un giorno un sms sul suo numero di cellulare personale, a scriverle una persona che dice di aver ottenuto il suo numero a pagamento dal sito Lusha.com e ha trovato curioso che si potesse avere accesso a numeri personali di persone note e meno note, senza che queste avessero fornito il loro consenso né fossero a conoscenza di ciò.

I giornalisti si sono quindi interessati a questo mondo, scoprendo altre aziende del settore, come ColdCRM del francese Raphael Azot (sito ora “stranamente” indisponibile) che vantava un database di dati personali ancora più importante rispetto a quello di Lusha, e dove i giornalisti di Cash Investigation hanno addirittura potuto reperire, con un abbonamento a pagamento al sito, numeri di telefono di ministri ed ex ministri, personalità politiche di primo piano e persino dirigenti della Polizia.

Cash Investigation ha poi varcato l’oceano per intervistare Deborah Peel, psichiatra e fondatrice della Patient Privacy Rights Foundation, che si batte contro IQVIA, gigante dei dati personali sanitari (data broker) da 10 miliardi di euro di fatturato annuo. I “tentacoli” di IQVIA non si fermano ai confini statunitensi ma arrivano anche in Europa. In Francia la Cnil (Garante della Privacy transalpino) l’ha autorizzata a ricevere i dati sanitari dei pazienti che si recano in farmacia e inseriscono la loro carte vitale (tessera sanitaria) ignari che i loro dati sensibili siano inviati ad un’impresa che poi li usa per lucrarci.

I farmacisti che collaborano con IQVIA in Francia sarebbero circa uno su due e in cambio dicono di ricevere rendiconti sulle loro vendite e statistiche. Il problema sta nel fatto che dovrebbero prima di tutto chiedere il consenso ai clienti/pazienti e informarli di ciò, oltre che consentire a questi ultimi di rifiutare tale invio di dati, come da Rgpd (Regolamento generale sulla protezione dei dati). Peccato che su una verifica fatta qualche mese fa dagli stessi giornalisti, su 200 farmacie visitate ad ogni angolo della Francia, nessuna sembrava avere alcun avviso a riguardo per la clientela.

L’azienda replica, in modo piuttosto goffo, che i dati sono anonimi, ma lo stesso presidente di IQVIA Francia, Jean Marc Aubert, in un video di qualche tempo fa scoperto dai giornalisti, confessava che in questo campo è molto semplice aggirare l’anonimizzazione e il ricercatore belga Yves Alexandre de Montjoye dell’Imperial College di Londra dimostra, con un database “anonimo”, quanto sia semplice identificare una persona specifica tra 66 milioni di persone, attraverso una manciata di criteri di ricerca quali la data di nascita, la città di residenza, e lo stato civile.

E in Italia, possiamo dirci al sicuro? Da una veloce verifica fatta online, il sito Lusha.com permette di ottenere numeri di telefono di giornalisti, politici, imprenditori e molto ancora anche da noi, e per quanto riguarda IQVIA questa è attiva anche nel nostro paese (“leader mondiale nell’elaborazione e analisi dei dati in ambito healthcare“). In rete se ne parla per dirci che “1 italiano su 5 prende psicofarmaci” o che c’è stato un “boom di vendite di igienizzanti mani e mascherine”.

Forse sarebbe il caso, anche in Italia, di chiedere qualche spiegazione al nostro farmacista nonché l’intervento del garante della privacy, ed opporsi all’invio dei propri dati sanitari ad aziende che lucrano sul commercio degli stessi, spesso e volentieri a nostra totale insaputa.

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