I lavori del Mose sono fermi. Il cronoprogramma sembra destinato a far slittare di un anno, a fine 2022, la conclusione dell’opera. Il Mose è sommerso da un mare di debiti e rischia di fallire prima ancora di entrare in funzione. E’ già un ricordo il miracolo dell’entrata in attività, seppur provvisoriamente, delle paratoie contro l’acqua alta, che per una ventina di volte hanno tenuto all’asciutto Venezia lo scorso inverno.

A riportare brutalmente l’attenzione su un’opera controversa e discussa, costata finora 6 miliardi di euro, ma non ancora attiva, ci ha pensato il 3 maggio scorso una lettera firmata dagli avvocati Stefano Ambrosini, Carla Scribano e Fabio Iozzo, titolari di uno studio associato di Vicenza. E’ stata inviata a una cinquantina di imprese creditrici che fanno parte del Consorzio Venezia Nuova, concessionario della realizzazione per conto dello Stato. Si tratta delle società che negli ultimi anni, dopo lo scandalo e gli arresti, dopo l’uscita di scena delle “tre sorelle” (Mantovani, Mazzi e Condotte) hanno svolto i lavori edili e di impiantistica. Ma sarà spedita anche ad altre imprese non consorziate che hanno vinto appalti e vantano crediti per 50-60 milioni di euro.

Gli avvocati scrivono per conto del Consorzio e del commercialista veneziano Massimo Miani, che il governo ha nominato a novembre commissario liquidatore del Consorzio stesso (la cui attività dovrebbe cessare quando il Mose sarà ultimato). “Il Consorzio ci ha affidato l’incarico di assisterlo nella ristrutturazione del debito, al fine di garantire, da un lato, il miglior soddisfacimento dell’intero ceto creditorio, dall’altro, di preservare il patrimonio consortile e quindi la garanzia che esso rappresenta anzitutto per i creditori”. Questa la premesse. Segue la proposta: “Un’ipotesi di soddisfacimento del Vostro credito che, allo stato, appare quantificabile nella misura indicativa del 30%, da concretizzarsi entro 18 mesi dall’omologazione dell’accordo”. I legali avvertono: “Sempre che il controcredito vantato dal Consorzio nei Vostri confronti e in via di accertamento non risulti superiore alle pretese”.

Una mazzata per le imprese – Devis Rizzo, presidente di Kostruttiva, che ne raggruppa una ventina: “Così il Mose si blocca, anzi i lavori sono già fermi. Solo noi consorziati avanziamo 20 milioni di euro, ci vogliono dare solo il 30 per cento entro un anno e mezzo. I soldi li abbiamo già spesi, molti lavori sono già fatti, non ci pagano da un anno e adesso fanno questa proposta? Significa che falliremo”. L’unica spiegazione è che il Consorzio è pieno di debiti, anche se il governo ha assicurato che i finanziamenti per finire il Mose ci sono. “Vogliono pagare i debiti che hanno contratto, con i nostri soldi. – replica Rizzo – Perché noi abbiamo lavorato, abbiamo fatturato e gli stati di avanzamento sono stati liquidati dal Provveditorato alle Opere pubbliche che li ha ricevuti dallo Stato e li ha già versati al Consorzio. Quest’ultimo, però, li ha spesi per pagare altri debiti. E adesso lo Stato ci chiede di rinunciare al 70 per cento di crediti sacrosanti per far fronte a debiti pubblici. Non dimentichiamo che dal 2014 il Consorzio è gestito dallo Stato”. Prima con gli amministratori straordinari voluti dall’Anac, ora con il liquidatore.


La senatrice Orietta Vanin, dei Cinquestelle, non nasconde la gravità della situazione: “Nessuna impresa continuerà a lavorare a fronte di un corrispettivo di solo il 30%. La situazione di stallo di due 2 anni fa, ad oggi si è ulteriormente aggravata con l’aumento dei debiti del Consorzio. Sono cambiati gli attori, con la nomina del nuovo provveditore Cinzia Zincone, i due amministratori straordinari designati da Anac sono stati sostituiti dal commissario liquidatore Miani, ed Elisabetta Spitz è diventata commissario straordinario per il Mose. Ma la situazione è addirittura peggiorata”.

In realtà i soldi ci sarebbero ed equivalgono ai 538 milioni risparmiati sui prestiti ricevuti in 15 anni dal Consorzio. Furono stanziati, ma non sono ancora disponibili. Eppure sono fondamentali per finire il Mose, metterlo in funzione e sistemare le moltissime anomalie. E’ questo il vero “tesoro” del Mose di cui si attende lo svincolo. “Penso che la lettera del commissario liquidatore vada interpretata come l’inizio di una trattativa per chiudere i conti del passato – ha commentato ai giornali locali il deputato Pd Nicola Pellicani – ma devono essere subito sbloccati dal Cipe i 538 milioni e bisogna partire con i nuovi lavori”. La storia infinita del Mose, fatta di estenuanti stop and go, in quasi vent’anni non è cambiata.

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