Sorpresa sotto l’albero di Natale in Laguna. Il Mose, il sistema di dighe mobili per salvare Venezia dall’acqua alta, costerà circa 350 milioni di euro in più. Non 5 miliardi 493 milioni di euro equivalenti al prezzo chiuso fissato a suo tempo, ma 5 miliardi 840 milioni. Nel quartier generale del Consorzio Venezia Nuova si affrettano a precisare che non si tratta di lievitazione dei costi per opere già programmate, ma di nuovi interventi, voluti dal Provveditorato alle Opere Pubbliche e dal Ministero dell’Ambiente e richieste anche per assicurare la mitigazione ambientale. Il Mose, comunque, si avvia a grandi passi verso i 6 miliardi di euro di costo globale. Riuscirà la grande opera che è stata attraversata come uno tsunami dallo scandalo tangenti a entrare in funzione? La domanda è diventata un autentico tormentone, mentre il cronoprogramma, che è in corso di costante aggiornamento, prevede la messa in attività definitiva delle barriere per il 2021. In queste settimane si stanno mettendo in acqua le ultime paratoia alla bocca di San Nicolò, al Lido Sud. In totale sono 20, ma 11 risultano già collocate e i lavori procedono al ritmo di due paratoie in acqua alla settimana. Tempo permettendo, entro la fine dell’anno l’operazione dovrebbe quindi essere conclusa.

Un problema nuovo è quello della manutenzione dei manufatti che sono già in acqua da anni. Nel caso delle 21 paratoie di Treporti, la collocazione è avvenuta cinque anni fa. Un tempo lunghissimo di permanenza che richiede di intervenire contro i fenomeni di ruggine che si sono già manifestati. Per farlo verrà emesso un bando di gara che prevede un costo variabile fra i 30 e i 40 milioni di euro. Il che significa che per ogni paratoia il costo da affrontare è all’incirca di due milioni di euro. Comprende i lavori per riportarla in superficie, controllarla, sottoporla ai test di resistenza, ripulirla e rimetterla in acqua. La novità è costituita dal luogo dove effettuare la manutenzione del sistema Mose. Finora si pensava all’utilizzo dell’Arsenale, in centro storico a Venezia, sede del Consorzio. L’orientamento è però mutato, anche per ridurre i costi. Si sta quindi valutando l’allestimento di una struttura adeguata a Marghera, nell’area che un tempo occupava gli stabilimenti industriali Pagnan.

Il cronoprogramma prevederebbe sei mesi per installare gli impianti che consentano alle paratoie di funzionare. Più realisticamente occorrerà poco meno di un anno e quindi si arriverà a fine autunno 2019. Poi comincerà la fase di prova e di collaudo che impiegherà tutto il 2020. In totale le paratoie sono 78 e saranno alzate con una previsione di marea superiore ai 110 centimetri. Alla Bocca di Chioggia ne sono state collocate 18 nel 2017. Nello stesso anno sono state messe in acqua le 19 di Malamocco. In precedenza le 21 di Treporti. La larghezza di ogni paratoia è di 20 metri. Varia, invece, la lunghezza che va dai 18,55 metri di Treporti ai 29,5 metri di Malamocco. Lo spessore varia dai 3 metri e 60 centimeri ai 5 metri. Le paratoie più pesanti, nel canale di Malamocco che è profondo 14 metri, raggiungono il peso di 330 tonnellate ciascuna.

Sul completamento del sistema Mose pesano anche i problemi legati alle tre aziende più importanti del Consorzio Venezia Nuova, che è stato commissariato dopo le retate giudiziarie del 2014. Sono letteralmente scomparse le tre società principali. Condotte e Fincosit sono, infatti, in amministrazione controllata. La padovana Mantovani della famiglia Chiarotto è stata, invece, ceduta a Coge Mantovani. Uno degli amministratori straordinari, Giuseppe Fiengo, aveva anticipato un paio di mesi fa la messa fuori gioco delle tre società. “Chi ha problemi di bilancio o con la giustizia, o è in liquidazione o in concordato non può fare i lavori” aveva dichiarato durante un’audizione alla Camera. Ma lo statuto del Consorzio è chiaro: “La messa in liquidazione ordinaria o speciale, l’apertura di procedura di concordato anche stragiudiziale, l’amministrazione controllata, il fallimento, una volta accertati dal Consiglio Direttivo, comportano di diritto l’esclusione del Consorziato”. Allo stesso modo il consiglio direttivo può decidere l’esclusione del consorziato che abbia trasferito il proprio pacchetto azionario. E così, a concludere i lavori del Mose dovranno pensarci le imprese minori, salvo gli interventi che dovranno essere messi in gara.

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