La strategia del “rischio calcolato” con cui Mario Draghi ha motivato le prossime riaperture, in vigore dal 26 aprile, è già stata bocciata da diversi virologi, tra cui Massimo Galli e Antonio Crisanti. Dati alla mano, l’Italia si appresta infatti a ridurre fortemente le restrizioni anti Covid mentre si registrano più di 10mila contagi e oltre 300 morti al giorno. Ma le nuove misure scontentano anche le categorie economiche coinvolte, ristoratori su tutti: nelle regioni in zona gialla potranno tornare a effettuare il servizio al tavolo a pranzo e a cena, ma solo se dispongono di spazi all’aperto. “Questo significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi – dice Lino Stoppani, presidente della Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi. “Il 46,6% dei bar e dei ristoranti italiani non è dotato di spazi all’aperto, e questa percentuale si impenna se pensiamo ai centri storici delle città dove sono in vigore regole molto stringenti”.

La decisione del governo ha scatenato nuove proteste: lunedì mattina circa cento ristoratori del gruppo Tni, Tutela Nazionale Imprese Italia, hanno occupato l‘autostrada A1 Milano-Napoli all’altezza di Incisa bloccando il traffico per cinque ore. Per la Fipe queste prime riaperture rappresentano un segnale di speranza per gli imprenditori, ma non bastano: “Ci saremmo aspettati più coraggio da parte del governo”, continua Stoppani. “Questa distinzione sugli spazi all’aperto è discriminatoria: chi non li ha rischia di rimanere fermo per un altro mese. E nel frattempo la concorrenza viene modificata dal contesto: un locale con 20 tavolini fuori può lavorare bene, mentre nella via a fianco chi non li può mettere per problemi di spazio deve stare a guardare”.

Lo sa bene Aristide Bucchi, titolare del ristorante La Padellaccia nel centro di Firenze. “Fuori dal locale non ho spazio perché la via è molto stretta, passa a malapena una macchina”, racconta. “Io ho un ristorante di 200 metri quadrati e non posso aprire, mentre a pochi passi da me chi ha un piccolo locale che affaccia su una strada più larga può lavorare perché ha qualche tavolino all’aperto”. La crisi dovuta alla pandemia ha già portato via a Bucchi la storica Norcineria di cui era titolare e che si trova nella stessa struttura del ristorante. “Gli affitti sono ancora altissimi, ma senza i milioni di turisti che ogni anno visitano Firenze è impossibile andare avanti. E ora, dopo tutti gli investimenti fatti per il ristorante, mi sento dire che chi ha posto all’aperto può lavorare mentre io devo restare chiuso. Queste misure sono soltanto l’ennesimo schiaffo”.

E a guardare bene la discriminazione è doppia. Dopo il lockdown della primavera 2020 la possibilità di utilizzare maggiormente gli spazi all’aperto è stata cavalcata dalle amministrazioni locali con l’esenzione del pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico per bar e ristoranti. In questo i sindaci sono stati supportati economicamente dal governo, che negli ultimi mesi ha garantito ai Comuni la copertura dei mancati introiti, un provvedimento in vigore dal primo maggio al 31 ottobre 2020, poi prorogato fino a giugno. E nelle ultime settimane da Regioni e Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, è arrivata la richiesta di un’ulteriore proroga fino a dicembre.

Così al vantaggio di riaprire in anticipo rispetto alla concorrenza si aggiunge quello di poterlo fare senza spese ulteriori. “Regalare l’occupazione di suolo a chi lo ha a disposizione aumenta ancora di più le disparità”, dice Carlo Squeri, segretario dell’Associazione pubblici esercizi di Milano. “Bisogna incidere su tasse trasversali come la Tari, che colpiscono anche i ristoratori che non possono mettere tavoli e sedie fuori dai propri locali perché non ci sono la caratteristiche urbanistiche adatte. Ma questa non può essere una colpa da pagare due volte: i ristoratori si sentono discriminati e hanno ragione”. Un’occasione per riequilibrare questa misura potrebbe arrivare dal prossimo decreto a sostegno della categoria: “Chi non ha posti all’esterno dovrà ricevere indennizzi superiori”, dice ancora Stoppani. “Spero che il governo tenga conto di questo criterio, anche se la miglior medicina rimane la ripartenza completa: fino ad oggi tutti sono stati chiusi e adesso ci sono da sistemare mesi davvero disastrosi”.

Nelle città intanto è ripartita la corsa a sedie e tavolini in strada. I Comuni hanno margine di manovra sulle modalità di utilizzo del suolo pubblico e in questi giorni è iniziato il pressing sui sindaci per concedere il maggior numero possibile di spazi esterni agli esercizi che in questo momento ne sono sprovvisti. A Roma è stata la Fipe a lanciare una proposta destinata a far discutere: sacrificare i parcheggi con strisce blu a favore dei tavoli di bar e ristoranti. A Milano da pochi mesi è in vigore un nuovo regolamento che consente ai gestori di questi locali di occupare suolo pubblico anche se non adiacente all’esercizio commerciale e fino a una distanza di 30 metri. A Bergamo il sindaco Giorgio Gori ha firmato un’ordinanza per agevolare l’ampliamento dei dehor esistenti e ha prorogato i circa 200 realizzati nel 2020. In attesa di una decisione del governo il comune di Firenze ha già esteso la gratuità per sedie tavoli e dehor per tutto il 2021. Stesso provvedimento annunciato a Bologna dal sindaco Virginio Merola, che ha spiegato come un milione di euro del bilancio comunale finanzierà l’esenzione del pagamento della tassa per il suolo pubblico per i dehor fino al 31 dicembre.

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