di Emanuele Bompan

Sempre più spesso si sente parlare di come il gas naturale di origine fossile sia “un combustibile di transizione”. Un mantra ripetuto soprattutto dai grandi colossi del mondo oil&gas ma ripreso spesso da tanti politici e media. Nel recente rapporto di Confindustria, Sistema gas naturale — transizione e competitività, realizzato con Nomisma Energia, si ribadisce ancora una volta come il gas naturale “sia la fonte che sta contribuendo di più in questi anni al contenimento della crescita delle emissioni di gas a effetto serra”. È necessario però fare chiarezza, ribadendo due aspetti cruciali, ossia che il gas è comunque un combustibile fossile, e la “transizione” deve durare 1-2 decenni, massimo 3, non deve durare un secolo.

“Da un punto di vista delle emissioni il passaggio dal carbone al gas riduce indubbiamente le emissioni quando si produce elettricità. Non è facile dire quanto vale questo vantaggio perché l’estrazione e la distribuzione del gas naturale comporta emissioni fuggitive di metano, un potente gas serra – spiega Stefano Caserini, membro del comitato scientifico di Italian Climate Network – In ogni caso anche bruciando gas si produce CO2, quindi può essere usato solo in una fase temporanea come riduzione del danno: l’uscita dal gas deve essere già oggi pianificata, con tempi certi e congruenti con gli impegni sul clima già assunti dal nostro Paese”.

Dunque dal punto di vista emissivo il gas è meglio del carbone, ma rimane un combustibile fossile con un importante ruolo climalterante. Se prendiamo gli obiettivi a medio termine dell’Unione Europea, (-55% nel 2030) e a lungo termine, la neutralità climatica al 2050, appare evidente come sia urgente lavorare fin da subito per una strategia di dismissione del gas, graduale e realizzata insieme al settore. Continuare a spingere per la crescita delle centrali a gas e dello sfruttamento di quest’ultimo ad uso industriale e domestico può essere controproducente.

“Negli scenari al 2050 della Long-Term Strategy [la strategia italiana per la carbon neutrality, nda] il metano fossile ha un ruolo marginale (3-8% del mix energetico primario, a fronte del 39,2% del 2019) e viene utilizzato con Ccs nei settori elettrico e industria – spiega Michele Benini, Direttore del Dipartimento Sviluppo Sistemi Energetici di Rse – Ricerca Sistema Energetico – A questo si aggiungono il biometano da upgrading di biogas e il metano di sintesi, per un volume complessivo di 16-22 miliardi di metri cubi, a fronte dei 74 miliardi di metri cubi del 2019″. Una riduzione significativa che si sentirà in maniera evidente anche sulle infrastrutture di distribuzione. “Se il ruolo delle reti non sarà molto diverso al 2030, al 2050 la drastica riduzione dei volumi e lo sviluppo dell’idrogeno ne cambierà il paradigma”, continua Benini.

Nuove centrali a gas?

Dunque, appare evidente che investire in nuovi impianti a gas costituisce una direzione opposta ed ostinata alla transizione ecologica e alla decarbonizzazione. Attualmente ci sono piani per la costruzione di nuove centrali a gas in Italia per una capacità complessiva di 14 gigawatt, che potrebbero mettere a rischio gli obiettivi climatici del paese e comportare perdite fino a 11 miliardi di euro in investimenti e perdere l’occasione di ridurre i consumi domestici di energia elettrica. Queste le cifre preoccupanti che fornisce Carbon Tracker Initiative, un think tank finanziario indipendente.

Secondo Catharina Hillenbrand Von Der Neyen, Responsabile Power & Utilities presso Carbon Tracker “l’Italia commetterebbe un errore sostituendo le centrali a carbone con quelle a gas. Le tecnologie a zero emissioni possono assicurare l’affidabilità della rete a un costo più basso. Inoltre insistere sul gas mette in dubbio la leadership dell’Italia nella lotta al cambiamento climatico mentre si prepara a co-ospitare il vertice sul clima COP26 che si terrà quest’anno”.

I dati sono ribaditi anche da un altro documento, il report Foot Off the Gas sempre di Carbon Traker che prende in esame gli impegni climatici internazionali e la loro attuazione tramite le relative politiche. Esiste infatti una possibilità concreta di un aumento delle emissioni eccessivo rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione se il gas permanesse troppo a lungo nel mix energetico, invece che iniziare una transizione intelligente del settore. Dunque conclude il report “se il mondo vuole restare sotto la soglia di +1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali deve eliminare il gas naturale contemporaneamente al carbone”.

Chi propone impianti a gas sostiene che servono per poter garantire stabilità ad una rete elettrica con grandi quote di energia rinnovabile, la cui produzione è fortemente variabile. “Gli impianti a gas necessari per la transizione devono essere valutati con attenzione, spiegando in modo rigoroso la loro necessità e la loro convenienza strategica rispetto ad alte alternative tecnologiche esistenti per gestire la variabilità della domanda di elettricità”, conclude Caserini.

Infine, è necessario tener conto che anche la finanza sta iniziando a spingere contro il gas. Difficilmente chi investirà in gas potrà avere in futuro buoni rating Esg. E se lo dice la borsa globale forse vale la pena di ascoltare.

Articolo Precedente

‘ndrangheta in Toscana, Abiti Puliti: “Nostro report denunciava lo smaltimento illegale di rifiuti, ma conciatori e Ue lo boicottarono”

next
Articolo Successivo

Ue, intesa sul clima: neutralità entro il 2050 e taglio delle emissioni per il 2030 del 55% rispetto ai livelli del 1990

next