La prospettiva, a un anno e tre mesi dalla rivoluzione imposta dalla pandemia, può spaventare. E la visione sul prossimo futuro – vista la diffusione capillare di Sars Cov 2 – lascia poco spazio all’ottimismo. “A livello globale sta andando peggio dell’anno scorso per numero di contagi… con un virus che è diffuso in Amazzonia come a New York e che difficilmente a breve lascerà il campo”, dice Marco Rizzi, primario del reparto di Infettivologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Un osservatorio privilegiato, il suo, rispetto all’andamento della pandemia: secondo il medico e ricercatore non potrà essere spenta a breve anche in considerazione della lentezza della campagna vaccinale.

“Abbiamo iniziato il 27 dicembre e nessuno si aspettava di essere qui a metà aprile”, dice il professore. Che ipotizza, nel caso di un prolungamento temporale del piano di immunizzazione, di prevedere di somministrare dosi alle categorie che sono più mobili e hanno maggiori interazioni, come giovani e lavoratori: “Certo è che sul breve termine però questo significa pagare ancora un prezzo di morti. È molto difficile stabilire qual è il punto di equilibrio”. Ma sicuramente la vaccinazione dei più giovani, che gli Usa probabilmente avvieranno il prossimo autunno, è una strategia che potrebbe sottrarre un importante “serbatoio” al virus. Fino a quando l’epidemia non sarà tenuta sotto controllo non si potrà tornare alla normalità. “Fra un anno? Non credo proprio”.

Professore, abbiamo ricevuto segnalazioni di giovani sintomatici con diversi tamponi negativi che poi hanno scoperto di avere un polmone groundglass, cioè con i tipici danni del Covid. Cosa succede?
Una spiegazione virologica ci potrebbe essere ed è l’ipotesi di varianti non ancora riconosciute dai test in uso. Ma non abbiamo questa evidenza. E quindi se la domanda è se il virus sia nuovamente mutato talmente tanto da non essere riconosciuto dai test, la risposta è no. In realtà non sembra questa l’evenienza. Sin dall’inizio della pandemia abbiamo visto casi di persone che erano ripetutamente negative ai tamponi ma avevano il Covid. Il test deve essere fatto su un campione respiratorio profondo raccolto in broncoscopia. Perché passati i primi giorni è più facile trovare positivo un campione come questo che il tampone nasofaringeo. Ci sono persone che hanno sintomi, ma quando arrivano a fare il tampone non si trova più il virus perché la fase di replicazione virale dopo un determinato tempo si esaurisce.

I vaccini a vettore virale sono al centro di una intensa attività scientifica a causa dell’ipotesi che siano la causa di trombosi tanto gravi quanto rare. Cosa ne pensa?
Non abbiamo dati così solidi sugli eventi avversi, che sono sicuramente poco frequenti. Dunque non abbiamo ancora elementi sufficienti per trarre conclusioni. Di base va detto che la reazione infiammatoria attiva la coagulazione e in qualche modo predispone a eventi trombotici. Con un vaccino inneschiamo la risposta infiammatoria verso alcune componenti del virus e questo produce un’immunità protettiva ma anche tutto il resto. Un marginale rischio di trombosi ci può essere. Ma sono speculazioni, non abbiamo dati conclusivi.

L’Ue però ha deciso che metterà da parte questi vaccini e punterà su quelli a Rna messaggero.
Sapevamo che sui vaccini ci sarebbe stata una rapida evoluzione e che ci sarebbe orientati su quelli su cui ci sono state ragionevoli prove di efficacia e sicurezza e che hanno vantaggi per dose, costo, conservazione e così via. In base all’analisi dei numeri vedremo quali mostreranno più vantaggi. Ma non siamo in uno scenario in cui si può andare al supermercato e prendere il prodotto che sembra migliore. Anche i vaccini che sembrano all’apparenza avere un rapporto efficacia-sicurezza un po’ meno favorevole sono meglio del non vaccino. Se avessimo in Italia 200 milioni di dosi di vaccino mRna sarebbe facile per tutti dire usiamo quelli. Ricordo che anche quando siamo partiti con Pfizer e Moderna ci sono stati degli allarmi per reazioni gravi. L’evento avverso ci può essere con tutti. Se avessimo solo Astrazeneca o Johnson&Johnson useremmo quello perché è sicuramente meglio che ammalarsi e andare avanti con la pandemia un altro anno.

Ma casi di trombosi a Bergamo ci sono stati?
Eventi maggiori o gravi no. Ma abbiamo avuto una quantità di persone che si sono presentate in Pronto soccorso allarmate con il mal di testa dopo il vaccino. Sono stati fatti tanti esami che altrimenti non si sarebbero fatti.

Il tema di questi giorni è come e quando riaprire. È il momento giusto per farlo?
Se c’è un sistema di monitoraggio di quello che accade sul territorio, con capacità di intervento molti efficace e veloce anche localmente, perché no. Ma è necessario adottare misure restrittive molto tempestive e mirate al primo segnale. Si può provare. Nel corso di questi mesi, però, abbiamo visto che è difficile essere così efficienti nel controllo delle dinamiche dell’epidemia. Speriamo che d’ora in poi le cose funzionino un po’ meglio. Che si debba andare avanti con allentamenti e restrizioni è un dato, continuerà almeno per tutto l’anno.

Ma quindi quando ne saremo fuori?
Quest’anno ci saranno ancora alti e bassi. Non credo che torneremo presto alla vita del gennaio 2020, nemmeno fra un anno. A livello globale a oggi sta andando peggio di un anno fa, come numero di nuovi casi al giorno. Ci sono zone del mondo dove la pandemia è molto attiva. Quindi la possibilità che rientri una variante dall’estero sulla quale non abbiamo una buona copertura immunitaria è un rischio che resterà per un po’, forse qualche anno. C’è la necessità di una sorveglianza epidemiologica ben fatta, qualche cautela su versante dei viaggi internazionali e della vita sociale. Non si arriverà in fretta a fare tutto come prima, con eventi da 60mila persone spalla a spalla per molte ore o i mezzi pubblici pieni.

Uno studio pubblicato su Science qualche mese fa parlava di possibili ondate anche nei prossimi due anni e un ritorno alla normalità nel 2024. Cosa ne pensa?
Tutto dipende dalle varianti. Questo virus si trova nella foresta dell’Amazzonia come a New York, è ovunque. Pensare che nel giro di un anno sparisca da tutti questi posti è un po’ ottimista. Nessuno pensa di eradicare l’influenza: si cerca di convivere e di ridurre i danni. La domanda vera è se il virus muta in maniera importante. Un giorno potrà diventare un fastidio, un rumore di fondo come tante malattie infettive. Ma i tempi saranno molto lunghi, data la densità di popolazione e la velocità degli spostamenti.

La campagna vaccinale intanto appare lenta e confusa. Ci sono 80enni ancora non immunizzati.
Non stiamo andando come si sperava. Il 27 dicembre, quando è partita, non ci aspettavamo di essere ancora a questo punto a metà aprile e ovviamente è un problema. C’è anche la difficoltà di capire dove intervenire. Si può discutere a lungo se sia meglio proteggere anziani o le persone con malattie ad alto rischio di complicanze o intervenire su chi circola di più e ha più contatti e quindi fa girare di più il virus.

Secondo lei quale dovrebbe essere allora l’ordine di vaccinazione?
In una prospettiva di lungo termine e di riduzione globale dei numeri dell’epidemia è chiaro che intervenire sulle fasce di persone più mobili, con più relazioni sociali e più attive riduce la circolazione. Sul breve termine però significa pagare un prezzo in termini di morti in più. Molto difficile trovare il punto di equilibrio. Ma ora riaprire le scuole e mandare in giro i ragazzi, nessuno dei quali è vaccinato, significa far circolare di più il virus. Il problema non è la scuola ma tutto quello che comporta. A partire da mezzi di trasporto e socialità.

Quindi sul lungo termine l’idea di puntare sulle persone giovani potrebbe essere una ipotesi da valutare?
Sicuramente sì. Si discute anche la vaccinazione dei lavoratori. In verità bisognerebbe fare le famose 500mila vaccinazioni al giorno e chiudere entro l’autunno senza preoccuparsi tanto delle priorità. Ma è un percorso difficile per sua natura: vaccinare tante persone e decidere chi si vaccina prima non è facile. L’approccio ideale è quello di Israele: vaccinare tutti e dovunque. Bisogna avere una potenza organizzativa non indifferente.

E anche soldi. Le dosi di Pfizer sono state pagate il doppio dal governo israeliano. Ultima domanda, l’ipotesi di vaccinare adolescenti e bambini. Cosa ne pensa?
Non è che il virus circoli particolarmente nei ragazzini, ma circola. In una prospettiva di medio e lungo periodo, finché resta un serbatoio del genere di persone non immuni inserite in interazioni sociali molto vivaci il pericolo che continui a fare danni c’è.

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