L’approvazione da parte del Senato della mozione che impegna il governo ad avviare l’iter per concedere la cittadinanza italiana a Patrick Zaki è un atto importante, che dimostra come la vicenda dello studente egiziano dell’Università di Bologna che ha superato i 14 mesi di detenzione sia una priorità che il Parlamento italiano intende affrontare e continuare a seguire con attenzione.

La speranza è che, sebbene il percorso rischi di essere lungo e tortuoso (si pensi ad esempio a quanto potrà essere difficile per Patrick esprimere solennemente il consenso), la concessione della cittadinanza italiana, oltre a ribadire che questa è una vicenda di violazione dei diritti umani che riguarda anche il nostro paese, possa favorire anche la scarcerazione.

Il Parlamento dunque ha battuto un colpo. Ha portato nell’aula del Senato il nome, la storia e la persecuzione giudiziaria di un ragazzo che aveva affidato il suo futuro accademico (e chissà, anche un progetto di vita) all’Europa, all’Italia, a Bologna.

Ora tocca al governo. Non si può però però non rilevare l’incoerenza di un esecutivo che pur dimostrandosi, con l’impegno assunto oggi, preoccupato per le sorti di Patrick Zaki, ha proseguito letteralmente fino a ieri e senza soluzione di continuità i propri rapporti con un governo repressivo com’è quello del presidente al-Sisi: è del 10 aprile infatti la partenza da La Spezia della seconda fregata militare consegnata allo stato egiziano.

L’idea che si possa nei giorni pari chiedere il rispetto dei diritti umani all’Egitto e nei giorni dispari continuare a fare affari è inaccettabile: nessuna motivazione politico-economica dovrebbe mettere in secondo piano le orribili violazioni dei diritti umani in corso in Egitto come quelle cui è sottoposto Patrick Zaki da oltre 14 mesi e che colpiscono tantissimi attivisti, avvocati e giornalisti detenuti arbitrariamente solo in ragione delle loro opinioni.

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