Professore di filosofia al liceo, Fabio Volo è un padre intellettuale, vedovo legatissimo alla figlia Simone (da leggere alla francese), quindicenne incollata allo smartphone che immagina un futuro da influencer. Anni e anni per educarla alla buona musica, alle arti, alla grande letteratura, buttati al vento. La relazione, pacifica e serena, diventa improvvisamente ostaggio dell’incomunicabilità e del digital divide. Il telefonino ha creato un muro. È allora che il papà professore dopo l’ennesimo litigio subisce la vendetta della figlia e finisce protagonista di un video destinato a diventare virale: impugnato lo scopettone si offre inconsapevolmente alla camera e spara a zero sulle web star, maledicendo la rete per avergli portato via la sua bambina. Chiamata in causa dal #padretrombone – come viene ribattezzato – interviene Ele-O-Nora, diva di Instagram pronta a scatenare una guerra social.

Che dire, Genitori vs Influencer è sostanzialmente “un film da boomer”, come si dice adesso. Anzi, è un film pensato dai boomers per i boomers. Lo scrivono insieme Michela Andreozzi e Fabio Bonifacci, rispettivamente classe ‘69 e ‘62. Lanciatisi nell’epica sfida di rallegrare le famiglie durante l’ennesimo lockdown, confezionano una commedia perfetta per lo streaming. Leggera, dalla durata contenuta, con un protagonista blasonato, un corollario di personaggi spassosi (nel cast anche Nino Frassica) e qualche comparsata dal mondo della tv. Fin qui nulla di male se non fosse che l’opera ha una focalizzazione tutta “adulta” nel raccontare le questioni legate ai ragazzi della iGen, lasciati senza diritto di replica.

Al cuore della storia c’è un argomento interessante quanto abusato, quello della Generazione Z e il suo rapporto non sempre facile con i social media. Come al solito ad andare in scena è la tipica parodia del teenager. Non spiega le sue ragioni, non articola pensieri, non si espone perché intrappolato nell’immaginario del boomer, l’adolescente medio non è altro che un tiktoker senza futuro ossessionato dagli inglesismi. E peggio ancora, tra un “blasting” e l’altro – i dialoghi sono inzeppati di queste espressioni dello slang giovanile – vengono passati in rassegna un po’ sbertucciati, un po’ bollati come mode alcuni dei temi più sentiti dai giovani, che sulla coscienza ecologica e il gender hanno sempre meno voglia di scherzare.

L’elemento migliore del film – a parte le perle di Frassica? Giulia De Lellis nell’atto di inscenare se stessa. Unica ambasciatrice della sua generazione, la venticinquenne (Ele-O-Nora) che nella “vita reale” vanta un tesoretto di ben 5 milioni di followers, traspone con genuinità alcuni momenti della sua carriera. L’influencer di mestiere, come massima rappresentazione del nativo digitale.

Forse è davvero arrivato il momento, se non altro cinematograficamente parlando, di passare la palla e ascoltare anche l’altra campana. Cercasi autore di età consona, disposto a svecchiare una volta per tutte la narrativa del post millennial superficiale e lobotomizzato.

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