Parla di “falsità”, di una ricostruzione “palesemente fuorviante” delle iniziative di politica estera dei suoi due governi: Giuseppe Conte risponde al direttore de La Stampa, Massimo Giannini, con un lungo articolo pubblicato proprio sulle colonne del quotidiano di Torino che, con un editoriale dal titolo Italia e Libia. Un atlante occidentale, aveva accolto positivamente la decisione di Mario Draghi di recarsi a Tripoli, in occasione della sua prima trasferta internazionale, per incontrare il nuovo premier del governo di unità nazionale, Abdel Hamid Mohamed Dbeibeh. Un modo per rilanciare i rapporti bilaterali tra Italia e Libia, indeboliti dall’entrata in campo di Russia e Turchia rispettivamente al fianco del generale Khalifa Haftar e del capo del Governo di Accordo Nazionale, Fayez al-Sarraj. “Trovo palesemente fuorviante riassumere tutte le iniziative di politica estera poste in essere dai due governi da me presieduti con l’immagine di una ‘Italietta che finalmente si risveglia dalla sbornia nichilista, sovranista e anti-occidentale di questi ultimi tre anni’“, ha scritto l’ex premier rivolgendosi al giornalista.

In particolare, Conte si sofferma su due punti del testo di Giannini che rappresentano anche il cuore dell’attacco del direttore alla gestione del dossier libico durante i due governi Conte. Il primo riguarda due incontri avuti ad Abu Dhabi con lo sceicco emiratino Mohammed bin Zayed tra il novembre 2018 e il marzo 2019, volti a creare un canale diplomatico con quei Paesi che sostengono il fronte dell’uomo forte di Bengasi, Haftar. Secondo Giannini quei due incontri “furono talmente inutili sul dossier libico che lo sceicco emiratino diede ordine ai suoi diplomatici di non organizzargli mai più altri colloqui con l’Avvocato del Popolo”. Versione rigettata dallo stesso Conte che spiega: “Ho avuto ulteriori colloqui con lo sceicco Mohammed bin Zayed che hanno confermato non solo l’eccellente rapporto personale instaurato, ma anche le ottime relazioni tra i nostri due Paesi”. E contrattacca: “Mi permetta di sottolineare che la sua falsità suona davvero ingenua. In pratica ha tentato di convincere i Suoi lettori che lo sceicco emiratino avrebbe informato solo lei che non avrebbe più accettato colloqui con il sottoscritto, quando invece abbiamo sempre operato, anche a tutti i livelli della filiera diplomatica e di intelligence, nella reciproca consapevolezza che i nostri rapporti fossero molto buoni”.

Il secondo punto riguarda l’incontro tra Conte e Haftar del 17 dicembre scorso, in occasione della liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo sequestrati dalla Guardia Costiera dell’uomo forte della Cirenaica a settembre: “Il blitz a Bengasi del 17 dicembre 2020 – scrive Giannini -, organizzato come uno spot di bassa propaganda solo per riportare a casa i pescatori mazaresi previa photo-opportunity con Haftar, è stato ancora più imbarazzante. L’ultimo premier che volò di persona a Tripoli fu Mario Monti, poco più di nove anni fa”. Conte rivendica con forza la decisione di recarsi nella città libica per incontrare Haftar: “L’ho fatto. Lo rifarei. Dopo un lungo negoziato e dopo avere respinto altre richieste che giudicai non accoglibili, atterrai all’aeroporto di Bengasi, dove Haftar mi accolse e firmò in mia presenza il decreto di liberazione dei diciotto pescatori. Quanto alla photo opportunity, caro Direttore, la informo che ho ricevuto più volte Haftar a Roma, anche nel pieno di quest’ultimo conflitto libico. Aggiungo che non troverà in giro nessuna mia foto con i pescatori. A loro e a tutti i cittadini di Mazara ho mandato un saluto a distanza. Ho evitato di incontrarli proprio per non dare adito a speculazioni inopportune“.

Un punto di vista, quello di Giannini, che si scontra con i suoi stessi auspici per il buon esito delle nuove relazioni inaugurate dal premier Draghi con la controparte libica. Il direttore de La Stampa, nel suo editoriale, scrive infatti che “la missione di Draghi è importante. Si salda alla ripresa delle relazioni transatlantiche innescata dalla vittoria di Joe Biden, che dopo i deliri autarchici di Trump punta a rimettere finalmente la ‘chiesa americana’ al centro del villaggio globale. Riflette a sua volta una nuova centralità dell’Italia, impegnata in una collaborazione-competizione con gli alleati europei che insistono sugli stessi terreni, confliggono sugli stessi business, inseguono le stesse
concessioni di ‘Oil and Gas’”. Sottolineando inoltre che i precedenti governi italiani non hanno fatto “niente per supportare la fragilissima tregua libica e l’ancora più fragile governo provvisorio ma unitario di Dbeibah”, che però è ufficialmente in carica da meno di un mese.

La contraddizione sta nel fatto che il nuovo governo di unità nazionale, fino a questo momento sostenuto da tutte le principali fazioni libiche, compreso il generale Haftar, è potuto nascere grazie anche al cambio di rotta di queste stesse fazioni, coscienti finalmente che la soluzione militare non era più praticabile dopo l’intervento in campo delle grandi potenze mondiali, Russia e Turchia su tutte, e i fallimenti delle offensive armate bipartisan. Consapevolezza maturata anche ai vertici delle stesse potenze esterne che hanno rinunciato all’idea di far prevalere la propria parte, convincendosi che un compromesso il più favorevole possibile fosse l’unica soluzione percorribile. Un risultato ottenuto anche grazie all’azione diplomatica portata avanti dai Paesi con maggiore influenza nell’area, compresa l’Italia. Gli incontri con Haftar possono infatti essere visti come la fase embrionale di un processo che ha portato alla conferenza di Berlino, considerata il punto di svolta delle trattative sulla Libia. Uscire dallo schema delle due fazioni contrapposte (Ue e Onu con al-Sarraj mentre Russia, Egitto, Emirati e Francia sostenevano Haftar) è ciò che ha portato alla formazione del nuovo governo Dbeibeh, una delle più concrete speranze di pacificazione della Libia mai avute dall’inizio del conflitto.

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