Si può davvero migliorare rapidamente la velocità di Internet in Italia sfruttando contemporaneamente fibra, 5G, satelliti e ponti radio Fwa? Il piano B che sta mettendo a punto il ministro per l’innovazione tecnologica, Vittorio Colao, può funzionare. Ma la questione della rete unica in fibra e del futuro di Telecom Italia resteranno comunque il tema più spinoso da affrontare per il governo di Mario Draghi.

Ne è convinto Fabio Colasanti, economista che, nel 2010, era direttore generale dell’Information society alla Commissione europea. La ragione? “Quindici anni di dibattito, fra la fine degli anni 90 e il primo decennio del Duemila, portarono alla conclusione che il progetto pubblico della rete unica in fibra non genera alcun vantaggio – spiega l’esperto- . Anzi, nella discussione di quel periodo, emerse persino la preoccupazione, forse per alcuni versi eccessiva, che la rete unica di Stato avrebbe potuto limitare gli investimenti necessari sull’infrastruttura frenando le esigenze delle compagnie telefoniche per offrire servizi sempre più avanzati”. Ecco perché alla fine nessun Paese ha realizzato una rete pubblica unica. Salvo il Qatar e Singapore.

Ma allora perché in Italia il tema dell’infrastruttura unica continua ad essere d’attualità? “Ho l’impressione che il piano della società della fibra sia fatto soprattutto per salvare Telecom Italia. Che senza le nozze fra la sua FiberCop e Open Fiber rischia a causa del pesante fardello di dipendenti e debito” riprende l’economista che precisa come la situazione di Telecom Italia non sia un unicum in Europa. “Tutte le società ex monopoliste delle telecomunicazioni hanno grossissime difficoltà perché si portano dietro una quantità di personale che non è assolutamente più giustificato dalle esigenze attuali – evidenzia l’esperto – E’ questo il motivo per cui il governo francese e quello tedesco hanno mantenuto una quota azionaria nel capitale di France Télécom e di Deutsche Telekom. Credo Telecom Italia oggi abbia il doppio dei dipendenti di cui ha bisogno.

Senza contare che man mano che si va verso la fibra, si va verso un tipo di rete che ha molto meno bisogno di manutenzione della vecchia rete in rame. Purtroppo non è facile tagliare i dipendenti. Pensi che sia in Francia che in Germania ci sono ancora tantissimi dipendenti degli ex monopolisti che ancora hanno lo statuto di dipendenti pubblici”. Come se non bastasse poi il gruppo guidato da Luigi Gubitosi, che, come ricorda l’economista, sconta anche pesanti debiti: “per due volte la società è passata di mano facendo pagare a Telecom Italia il costo dell’acquisizione da parte della nuova società. Quindi Telecom si porta dietro una massa di debiti enorme e se i tassi d’interesse dovessero normalizzarsi un po’, la cosa sarebbe quasi impossibile da gestire” precisa.

Secondo Colasanti, la realizzazione di una nuova società della rete in fibra che fonda l’infrastruttura di Telecom Italia e quella della rivale Open Fiber, lasciando il controllo della rete all’ex monopolista, renderebbe più facile al vita alla società guidata da Gubitosi. Tuttavia “è un progetto che di per sé non ha grande senso – riprende – La cosa è un po’ assurda perché Open Fiber è stato il concorrente che ha dato fastidio a Telecom Italia. Dire ora che bisogna mettere assieme due concorrenti che si sono fatti la guerra, anche in tribunale e che quindi erano veramente in concorrenza l’uno con l’altro, è un’assurdità. La Commissione non potrebbe assolutamente accettare una soluzione simile, a meno che nella società della rete non ci sia alcun azionariato delle compagnie telefoniche. O solo una minima presenza. L’idea che questa nuova società possa essere controllata da Telecom Italia non sta né in cielo né in terra e la signora Vestager (Commissario Ue alla Concorrenza, ndr) ha già fatto dichiarazioni in questo senso”.

Tuttavia, qualora il progetto dovesse andare in porto, la realizzazione della rete unica potrebbe avere degli effetti collaterali importanti. “Potrebbe accadere che la Commissione intraveda nell’operazione degli aiuti di Stato – conclude – E gli aiuti sono possibili solo quando accompagnano una ristrutturazione. Di conseguenza l’aiuto all’azienda sarebbe accompagnato dalla richiesta che Telecom Italia riduca fortemente l’occupazione, diventi più efficace e che quindi abbia delle prospettive di sopravvivenza”. Ma, in un certo senso, pur essendo le condizioni finanziarie completamente diverse, è quello che è accaduto all’Alitalia? “Sì, praticamente sì”.

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