Nelle ultime settimane, uno studio di Sara Gandini e altri autori sulle scuole e il rischio Covid-19 ha attirato l’attenzione di numerosi media italiani incluso il Corriere della Sera che ha dedicato ampio spazio alla ricerca. Secondo la prima autrice, che ha dichiarato in precedenza come altri che “la scuola è un luogo sicuro”, i risultati della sua ricerca sono sufficientemente solidi per convincere il governo a riaprire le scuole il prima possibile.

E’ davvero così?

Lo studio, nonostante il grande clamore mediatico e gli endorsement di politici come la ex ministra Azzolina, non è mai stato pubblicato su rivista scientifica – e quindi non è ancora passato sotto le forche caudine della peer-review. Uno studio italiano che invece ha superato la peer-review della rivista Eurosurveillance indica che la trasmissione nelle scuole della provincia di Reggio Emilia si è verificata in un numero di casi non trascurabile, in particolare nella fascia di età 10-18 anni, ovvero nelle scuole medie e superiori. La pericolosità della scuola era stata inoltre sottolineata da analisi apparse su riviste prestigiose come Science, Nature e Lancet.

Il comitato tecnico scientifico indipendente del Regno Unito (Independent SAGE) nota che per aprire le scuole in modo sicuro dovremmo affidarci a dei dati (tempestivi) non a delle date. Tuttavia, il periodo di riferimento dello studio di Gandini e altri è relativo a una fase molto precoce della seconda ondata, dal 20 settembre all’8 novembre, 2020, quando il rischio di contagio era quindi relativamente basso. Inoltre, è importante considerare il pericolo addizionale creato dalle nuove varianti, molto più letali e rapide nella trasmissione. A tale proposito, i risultati dello studio di Gandini e altri suonano piuttosto datati.

Sappiamo bene che la chiusura delle scuole è un problema serio per i ragazzi in termini di benessere psicologico e comportamenti legati alla salute, specialmente tra quelli che vivono in famiglie di basso stato socioeconomico. Ma sappiamo bene anche quali sono le condizioni per mettere le scuole in sicurezza. La prima condizione è avere bassa prevalenza e incidenza Covid nel territorio come sottolineato da una review dell’European Centers for Disease Control (ECDC): “In situazioni con alti livelli di trasmissione nella comunità, la prevalenza di COVID-19 all’interno della scuola è influenzata dalla prevalenza nella comunità”. Come sottolineato dall’Independent SAGE, quando la pandemia è fuori controllo nel territorio è impossibile ridurre i contagi senza chiudere le scuole.

La seconda condizione per avere delle scuole davvero sicure è adottare strategie basate su tamponi rapidi (ogni 3-5gg) al fine di identificare in modo tempestivo i nuovi contagi a scuola e suggerire l’isolamento di 10 giorni per tutti i casi positivi al test. I soldi buttati in banchi a rotelle dovevano essere utilizzati per sistemi di sorveglianza epidemiologica, diagnosi di massa e monitoraggio dei focolai. In alcuni casi, i risultati provenienti da questi test rapidi devono essere confermati dai tamponi molecolari, molto più affidabili. Sono necessari tracciamenti tempestivi con un sistema di sorveglianza epidemiologica rapido e procedure di isolamento efficaci e rigorose, oltre ad altri interventi come le mascherine, pulizia dei locali, lavaggio delle mani e l’aerazione delle aule. Senza questi interventi, frasi come “la scuola è sicura” rimangono pie illusioni.

Infine, è bene chiarire cosa s’intende per “scuola sicura” e quanto si vuole alzare o abbassare l’asticella della sicurezza. Per chi crede che “ogni contagio è un contagio di troppo” e che le strategie “Covid zero” di paesi come Taiwan, Australia, Nuova Zelanda, Vietnam, Singapore (quelli che hanno avuto poche decine o centinaia di morti) siano percorribili, la scuola così com’è non è per niente sicura. Chi invece accetta il fatto che sia inevitabile continuare ad avere altre migliaia di decessi, ed è trascurabile il fatto che una parte di questi provengano dai contagi a scuola, ha deciso che una proporzione di vite umane sono sacrificabili sull’altare di alcuni altri valori della società.

Forse è un caso che la prima autrice dello studio, così ampiamente diffuso dal Corriere della Sera, nonostante non sia mai apparso in una rivista scientifica peer review, abbia in passato fatto affermazioni come queste: Il virus deve diffondersi, perché più persone sviluppino immunità, e sia possibile curare l’infezione anche con il plasma di pazienti guariti“. E poi: “L’età media dei deceduti è 81 anni e il rischio riguarda soggetti con due o tre patologie croniche. Molti precisano infatti che la causa di morte non è ‘per’ Covid-19 ma ‘con’ il Covid-19. I migliori modelli predittivi per l’Italia stimano che avremo al massimo 4 mila decessi Covid-19 alla fine dell’epidemia”.

O forse no.

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