In Italia è ancora difficile abortire. A ribadirlo è il comitato della carta sociale europea, organo del Consiglio d’Europa, che oggi ha presentato le Conclusioni 2020 sulla base delle informazioni raccolte in 33 Paesi (2015-2018) sulle disposizioni relative a impiego, formazione e pari opportunità. E in riferimento al nostro Paese, viene rimarcato che “in Italia permangono disparità d’accesso all’interruzione di gravidanza a livello locale e regionale “. Ma non solo: a essere segnalata dall’organo con sede a Strasburgo è anche la lacuna per quanto riguarda i dati. “I dati forniti dal governo non dimostrano che il personale medico specializzato nel fornire il servizio sia sufficiente. Inoltre il governo deve dimostrare che i medici non obiettori non sono discriminati rispetto agli obiettori per quanto riguarda le condizioni di lavoro e le prospettive di carriera.

Il comitato inoltre ha evidenziato che, “sulla base degli ultimi dati disponibili”, relativi al 2018, “il numero di ginecologi obiettori di coscienza continua ad aumentare”, e che il 5% delle interruzioni di gravidanza sono eseguite in una Regione diversa da dove vive la donna. Inoltre il comitato evidenzia che sono aumentate anche le interruzioni di gravidanza eseguite con una procedura d’emergenza. “Il governo non ha fornito alcuna informazione sul numero o percentuale di domande d’aborto che non hanno potuto essere soddisfatte in un determinato ospedale o regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori”, dice il comitato. Ora l’organo del Consiglio d’Europa chiede al governo di fornire dati sugli aborti clandestini e sul numero di obiettori di coscienza tra i farmacisti e il personale dei centri di pianificazione familiare, e informazioni sull’impatto che questo ha sull’accesso effettivo all’interruzione di gravidanza.

Il comitato della Carta sociale europea ha anche stabilito che l’Italia non ha fatto ancora quanto deve per risolvere le violazioni nei confronti dei nomadi, riscontrate nel 2005 e nel 2010. Il comitato evidenzia che nonostante “i progressi compiuti a livello locale in alcuni comuni, per trovare delle soluzioni per offrire un alloggio ai rom, manca ancora un approccio a livello nazionale, coerente e coordinato per la loro l’integrazione, e il problema della segregazione di queste comunità non è stato ancora superato”. Per il comitato il problema dell’alloggio riguarda sia i campi, che finiscono per marginalizzare e discriminare questa comunità, sia l’offerta di soluzioni alternative, attraverso l’accesso agli alloggi sociali. Nelle conclusioni il comitato evidenzia anche che nonostante il numero di sgomberi sia diminuito tra il 2016 e il 2019, da 250 a 145, ci sono ancora casi in cui queste espulsioni sono condotte non rispettando la dignità delle persone e non offrendo una soluzione per un nuovo alloggio. Infine, l’organo di Strasburgo bacchetta l’Italia anche per non aver saputo evitare “la propaganda ostile” nei confronti dei Rom.

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