Sono abbastanza sconcertanti i toni veementi che, in una nota del 17 marzo, l’Unione Camere Penali Italiane usa nei confronti della puntata di PresaDiretta andata in onda sulla Rai sul processo “Rinascita Scott”. Un vero j’accuse che vale la pena esaminare punto per punto.

“[…] sdegno dei penalisti italiani per questa pagina di desolante inciviltà”: se nel Paese c’è qualcosa di davvero civile è, invece, proprio il poter parlare di un processo nei confronti della mafia più potente del mondo che invade di cocaina i cinque continenti e che con i miliardi di dollari ricavati acquista alberghi, banche, ristoranti ovunque. Lo “sdegno” andrebbe provato per ben altre cose.

“È semplicemente inaudito che proprio dagli schermi del servizio pubblico della informazione milioni di cittadini abbiano dovuto assistere alla unilaterale ed arbitraria selezione di atti del fascicolo del Pubblico Ministero”: ciò che fa un servizio pubblico degno di questo nome è informare con trasparenza i cittadini delle cose che vanno e di quelle che non vanno. Nella nota si legge che il nostro giornalismo giudiziario sarebbe “abituato a confondere una ipotesi accusatoria con la verità storica”: mi sembra, al contrario, che nessuno nel programma abbia mai parlato di “condannati”, ma solo di “imputati.”

“Giornalismo giudiziario […] abituato a confondere una indagine della Procura con una sentenza definitiva e una ordinanza di custodia cautelare con la irrevocabile prova della responsabilità dell’imputato”: gli imputati non sono stati portati a giudizio dalla procura ma da un Gip, quindi da un giudice, non da un pm.

“Questa penosa attitudine […] del nostro sedicente giornalismo di inchiesta si riduce a sfogliare […] atti forniti da uffici di Procura o di Polizia Giudiziaria […] assiduamente […] frequentati, per poi farsene […] divulgatori”: il giornalismo è esattamente questo, acquisizione di notizie anche attraverso fonti riservate, ed evidentemente le notizie riportate da Riccardo Iacona non erano poi così riservate.

“La narrazione […] di una indagine non ha nulla a che fare con il giornalismo di inchiesta”: quindi il giornalismo di inchiesta dovrebbe indagare sull’ultimo uomo di Belen o sulle esternazioni di Fabrizio Corona? Il Watergate e i Pentagon Papers ci ricordano che non è così.

“[…] Oltre 140 provvedimenti giurisdizionali di annullamento e di revoca di misure cautelari adottate in quella stessa inchiesta”: le misure cautelari sono state emesse da un giudice, non da un pm, successivamente sono state impugnate e 140 di esse sono state annullate dal Tribunale della Libertà ai sensi dell’art. 309 del codice di procedura penale, tutto a norma di legge.

Lo scandalo sarebbe di aver riferito all’opinione pubblica degli arresti? Se uno fa il prete non divulga le notizie ricevute in confessionale, se fa il giornalista non può che divulgarle. “È inconcepibile […] mandare in onda una trasmissione così partigiana ed unilaterale”: quindi da domani sotto con Live D’Urso, Montalbani a raffica, Grande fratello, 4 ristoranti e talent? Ricordiamo che l’Italia è ancora un paese in cui vige la libertà di stampa e di parola.

“Mostrando elementi di prova ignoti al Collegio giudicante […] che dovrà […] giudicare la fondatezza della indagine, e le responsabilità personali degli imputati”: fino a quando Iacona non sarà imputato di violazione del segreto d’ufficio, il servizio di PresaDiretta è legittimo.

“[…] sottocultura populista e giustizialista marchiata da […] analfabetismo costituzionale”: spiegare (finalmente!) alla gente che in Italia abbiamo la mafia più potente del mondo, che inquina l’economia internazionale, sarebbe “populismo”? L’Art. 21 della Costituzione recita: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, perciò applicare la Costituzione non è “analfabetismo costituzionale”.

“[…] relegare il processo penale […] ad un evento secondario ed immeritevole di attenzione”: al contrario, il programma di Iacona ha posto il processo RS al centro dell’attenzione nazionale. Nel programma non si è mai detto che gli imputati sono stati “condannati”, e inoltre il sostantivo “processo” indica un contraddittorio che vede al centro l’imputato e si svolge fra accusa, difesa e un giudice che decide chi ha ragione.

“[…] una pagina così scandalosa del giornalismo del servizio pubblico italiano”: di sicuro i milioni di cittadini che hanno guardato il servizio non si sono scandalizzati, o meglio, si sono sì scandalizzati, ma per quello che hanno visto e sentito.

“[…] indifferibile necessità di riposizionare la presunzione di innocenza al centro del sistema penale […]”: qualunque studente di giurisprudenza sa che questa norma viene sempre e comunque rispettata.

“[…] possa costituire la occasione di una profonda, seria presa di coscienza, da parte della Politica e delle Istituzioni, circa la necessità della adozione di iniziative e misure idonee a prevenire il ripetersi di simili episodi di malcostume”: quindi una politica che negli ultimi anni si disinteressa completamente della lotta alla criminalità organizzata dovrebbe, all’improvviso, rivitalizzarsi per censurare il giornalismo d’inchiesta che parla della mafia: è Roma, non Pyongyang.

Di quanto detto sono ovviamente possibili molte interpretazioni, ognuno si dia la propria. Ma due considerazioni finali sono necessarie. La prima: l’Italia è ancora un paese libero, dove per fortuna c’è gente che rischia la pelle per garantire la libertà di tutti. La seconda: la ‘ndrangheta è davvero potente. Lasciamo fare agli onesti il proprio mestiere.

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