Nell’estate 2018, quando la Juventus era ormai stabilmente una delle potenze d’Europa, al pari di Barcellona e Real Madrid, ad un solo piccolissimo passo dal trionfo in Champions League sfumato due volte in finale, Andrea Agnelli si mise sul suo jet privato e andò a prendere Cristiano Ronaldo. Un trasferimento epocale, per il definitivo salto di qualità sportivo ed economico, per sollevare l’unica coppa che mancava. Tre anni dopo, è finita con la Juve eliminata per tre volte di fila da tre avversarie modeste, con Ronaldo che esce dal campo contro l’Ajax rimproverando ai suoi compagni di essersela fatta sotto, o scompare nel momento decisivo, come contro il Porto ieri sera.

L’OPERAZIONE RONALDO: COLPO O ZAVORRA? Sarebbe eccessivo parlare di fallimento su tutta la linea, perché la Juve ha comunque vinto gli ultimi due scudetti (fanno nove di fila), e il campionato attuale ancora non è finito. Un ciclo si andava concludendo e la società ha iniziato il rinnovamento, puntando su giovani di assoluto talento come De Ligt, Chiesa (il migliore anche ieri), Kulusevski, Arthur, che rappresentano la base della Juve del futuro. Che qualcosa però negli ultimi tre anni sia andato storto è evidente. A partire proprio da Ronaldo. Il suo valore come giocatore è indiscutibile e lo ha dimostrato anche in Italia: con due scudetti, un titolo di capocannoniere e oltre 70 reti segnate in due anni e mezzo, la sua esperienza in Serie A è certamente positiva. Non è per questo che era stato preso però, non soltanto, ma per vincere in Europa e aumentare il fatturato: in Champions sappiamo tutti com’è andata, mentre da quando c’è CR7 il bilancio ha chiuso sempre in perdita. Ronaldo ha ancora un anno di contratto (scade a giugno 2022), ma dopo la partita col Porto che potrebbe aver segnato l’inizio della sua parabola discendente (sarebbe anche fisiologico a 36 anni compiuti), la Juve dovrà riflettere su cosa fare con lui in estate.

IL CENTROCAMPO IMPOVERITO – Lo sforzo immane per il portoghese ha fatto sì che per forza di cose si dovesse tirare la cinghia su altri reparti: in particolare sul centrocampo, quello più sacrificato nelle ultime sessioni di mercato. Sono arrivati pochi giocatori, spesso sbagliati, come i due parametri zero Rabiot e Ramsey, mentre lo scambio tra Arthur e Pjanic è stata un’operazione più finanziaria che tecnica. Il risultato è che cinque anni fa la Juve di Pirlo, Pogba e Vidal vantava uno dei centrocampi più forti del mondo, oggi ha una mediana anonima, che subisce il gioco altrui ovunque, in Italia (il divario nella sfida di campionato contro l’Inter fu imbarazzante), come in Europa, contro un Porto qualsiasi. Le recenti sconfitte di Champions nascono tutte da qui.

IL DOPPIO ERRORE IN PANCHINA – La colpa più grande di Agnelli, però, probabilmente è aver sbagliato l’allenatore. Non una, ma due volte di fila. Prima con Maurizio Sarri, scelta sbagliata non tanto dal punto di vista tecnico (ha comunque vinto uno scudetto, nonostante tutto) ma per l’ambiente, lo scarso feeling con tifosi e spogliatoio, la mancata fiducia della dirigenza che l’aveva voluto per puntare sul bel gioco ma l’ha rinnegato subito. Poi con Andrea Pirlo, un azzardo con i suoi zero giorni di panchina ed esperienza alle spalle, tutto ciò che sta mancando alla Juve in questa stagione. A meno che questa non dovesse essere davvero una stagione di transizione, in cui rifondare e ripartire, ma allora il progetto avrebbe dovuto essere diverso (da Ronaldo in giù). Una società che aveva indovinato tutto per sette anni, ha sbagliato tanto negli ultimi due. La parola fallimento, dopo 9 scudetti e a campionato in corso, in casa Juve non si può pronunciare. Tre anni fa però i bianconeri erano stabilmente una delle 3-4 potenze continentali. Oggi, con la seconda eliminazione di fila agli ottavi, non sono più fra le prime otto d’Europa. Il verdetto del campo è più severo di ogni giudizio.

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