L’8 marzo 2020, diciamocelo, è stato pessimo. Ci avevano appena chiuse in casa ed eravamo nel mood dell’andrà tutto bene a tutti costi. In quel momento non sapevamo, ahimè, che il costo dell’andrà tutto bene lo avremmo pagato noi, e i ragazzi, e i bambini. Non sapevamo come sarebbe stata la storia, e ce l’abbiamo messa tutta per farla girare per il verso giusto. Con abnegazione ci siamo sacrificate sull’altare del Paese. Ebbene, a un anno di distanza ecco i risultati.

Scuole – ancora – chiuse. Congedi parentali – ancora – non pervenuti. Ferie – ancora – tutte ipotecate per seguire (chi ce li ha) i figli. Situazione imbarazzante, al limite del plausibile, per la quale, personalmente, andrò in piazza e parteciperò allo sciopero indetto dal movimento Non Una Di Meno. Ma andare in piazza lo so che non basta. E allora, forse, prenderò mio figlio e lo porterò sotto il ministero delle Pari opportunità (e della Famiglia) e darò una citofonata alla ministra Bonetti, chiedendo a lei, personalmente, se per cortesia si possa occupare di mio figlio. Che io, davvero, devo lavorare e non ne posso più più più.

Devo davvero lavorare perché noi donne siamo le vittime della pandemia, e lo sa chi ha figli che è stata messa in ginocchio. Sì, un po’ dal Covid, ma un po’ anche dalle misure di Governo. Ci siamo trovate a far fronte a un enorme carico economico, psicologico e di cura, e non lo dico io, ma tutte le indagini che ho la sfortuna di leggere nella casella email. L’ultima in ordine temporale è quella di Ipsos per “WeWorld”. Dice che una donna su due ha visto peggiorare la propria situazione finanziaria, sia al Nord che al Centro e Sud. E la quota sale al 63% tra le 25-34enni e al 60% tra le 45-54enni. Non solo. Una donna su due si dice più instabile economicamente e ha paura di perdere il lavoro. Dipendenti e partite Iva. Quelle pure ormai devastate.

Devo davvero lavorare perché il 60% delle donne non occupate con figli dichiara di aver avuto durante la pandemia una riduzione di almeno il 20% delle proprie entrate, che significa dipendere da altri: il 51% (1 su 2) sostiene infatti di dover contare su famiglia e partner molto di più rispetto al passato. Alla faccia dell’indipendenza faticosamente anelata e perseguita.

Devo davvero lavorare perché 3 donne su 10 non occupate con figli a causa del Covid hanno deciso che rinunciano proprio a cercare lavoro, e il 38% di noi dichiara di non poter sostenere una spesa imprevista (quota che sale al 46% tra le madri con figli).

Devo lavorare anche perché mi sono stancata di lavorare gratis a casa facendo finta che il mio lavoro sia prendermi cura degli altri: nonostante gli aiuti familiari, ripartiti dopo il primo lockdown, ancora il 38% delle donne (2 su 5) dichiara di farsi carico da sole di persone non autonome (anziani o bambini). Dato che sale al 47% tra le 25-34enni, concentrate sui figli minori, e al 42% nella fascia 45-54 anni, che curano soprattutto gli anziani. Ma vi sembra giusto?

Devo lavorare perché per me è stato finora l’unico modo di stare al mondo, e di sentirmi viva. E dopo un anno di smart working più che una professionista mi sento ln’appendice di un telefono. Non ho più relazioni sociali, come immagino sia capitato anche a voi se nell’indagine We World l’80% delle intervistate afferma che il Covid ha avuto un impatto devastante sulle relazioni sociali, e che il 46% delle donne non ha più voglia di vivere. Sì, lo so, fa male però bisogna scriverlo. Che senso ha la vita se non si può gioire un po’?

È incredibile come quest’anno abbia svelato le più truci verità sulla condizione femminile. Forse ne avevamo bisogno, di questa resistenza che abbiamo dovuto combattere, ma ora è necessario che le istituzioni la smettano di giocare agli scacchi e ci mettano nelle condizioni di vivere.

Non è tanto il Covid e la non possibilità di divertirsi. È proprio il fatto di non vivere una vita da schiave telematiche e da casalinghe disperate. Non dovrebbe essere necessario supplicare un decreto Ristori – o dl Sostegno, come si chiamerà ora – per avere almeno gli strumenti per poter seguire i proprio figli minorenni a casa da scuola o in isolamento fiduciario.

Non dovrebbe essere necessario fare campagne come “Mamma ho perso il congedo” per smuovere i politici nel cercare delle soluzioni e non dovrebbe essere necessario lamentarsi, ché le donne sono sempre state così eleganti, non sta mica bene alzare la voce. E invece questa volta, dopo un anno, ho come l’impressione che se non cambia qualcosa – oltre che affidare il figlio alla Bonetti – non ci sarà molto da ridere. Nemmeno, sorridere.

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Aspettando l’8 marzo che verrà

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