Prosegue la risalita del prezzo del petrolio. Il Brent, greggio estratto nel mare del Nord la cui quotazione funge da riferimento per i 2/3 degli scambi mondiali, ha superato a Londra i 68 dollari al barile. Il Wti statunitense viaggia intorno ai 65 dollari, livello più alto da un anno. Nell’ultimo anno le quotazioni del greggio sono salite di oltre il 33% con una netta accelerazione a partire dallo scorso ottobre.

L’ultima spinta al prezzo del barile è arrivata ieri dall’Opec +, l’organizzazione dei principali paesi produttori a cui si aggiunge la Russia, che ha confermato l’intenzione mantenere invariata la produzione del prossimo aprile confermando il taglio di 500 mila/barili al giorno. Ogni giorno nel mondo si consumano poco meno di 80 milioni di barili. Il forte calo dei consumi legato alla pandemia e al quasi azzeramento di attività come il trasporto aereo ha però ridimensionato il fabbisogno. Da qui la decisione dei produttore di stringere i rubinetti sostenendo così il prezzo del greggio.

Se protratti, i nuovi rialzi si tradurranno inevitabilmente in rincari anche per benzina, gasolio, gas (il cui prezzo è ina certa misura legato a quello del greggio) ed elettricità. Una dinamica che potrebbe impattare anche sull’inflazione. Osservata speciale in questo periodo, soprattutto negli Stati Uniti dove si teme che una ripresa dei prezzi potrebbe costringere la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, a ridurre il sostegno monetario all’economia per evitarne il surriscaldamento. Ieri il governatore Jerome Powell ha affermato di ritenere possibile una “temporanea ripresa dell’ inflazione”. Dichiarazione accolta male dai mercati con indici in calo e vendite di titoli di Stato statunitense il cui rendimento sulla scadenza decennale ha superato l’1,5%.

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