Un “comitato d’affari”, un “sodalizio” composto da “freelance improvvisati desiderosi di speculare sull’epidemia” e “capace di interloquire e di condizionare le scelte della Pubblica amministrazione”. A tutti i livelli. Chi ne ha fatto parte ha ottenuto provvigioni “indebite” per oltre 77 milioni di euro, grazie a quello che la Procura di Roma definisce “un certo ascendente” nei confronti della struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri. L’affare delle 801 milioni di mascherine che a marzo 2020, nel pieno della prima ondata di contagi da Covid-19, lo Stato italiano ha acquistato dalla Cina al prezzo di 1,2 miliardi di euro, ha prodotto “un’annata straordinaria” – come loro stessi hanno definito l’anno 2020 – per questo “comparto privato”, oggi sotto inchiesta da parte dei magistrati di piazzale Clodio per i reati, a vario titolo, di traffico di influenze illecite, ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio. Commissioni pagate dai fornitori cinesi ma, sospettano gli inquirenti, di fatto “retribuite dal Governo italiano” grazie al “ricarico” effettuato sul prezzo. Fra gli indagati ci sono l’ex giornalista Rai, Mario Benotti, la sua compagna Daniela Guarnieri, l’imprenditore Andrea Tommasi, il banchiere sammarinese Daniele Guidi e il trader ecuadoriano Jorge Solis. Oltre a Antonella Appulo, ex segretaria al Mit.

Il sodalizio: l’ex giornalista “faccendiere” e la sua rete – Al centro dell’inchiesta c’è Mario Benotti. Giornalista Rai in aspettativa, professore universitario, saggista. Soprattutto, uomo dagli importanti agganci politici: già consulente dell’ex sottosegretario Sandro Gozi e del ministero delle Infrastrutture guidato da Graziano Delrio (dove fra l’altro conosce Appulo). Era finito, uscendone poi totalmente pulito, anche nelle carte dello scandalo Vatileaks. Dalle oltre 7mila pagine di informative agli atti della Procura, emerge un profilo molto complesso. Da un lato, le sue società Consorzio Optel, Partecipazioni Spa (in cui è presente l’ex ad di Enav, Guido Pugliese) e Microproduct It sono presenti e ramificate negli ambienti più disparati, specialmente nel settore della Difesa. Dall’altra, affiora la figura di una persona che, prima di questo affare, si trova in difficoltà economica, “risultato destinatario di atti di pignoramento ricevuti in qualità di terzi creditori” e firmatario di diversi assegni “risultati privi di copertura e quindi impagati”. Atti che “tracciano un profilo di inaffidabilità sul cliente proprio in relazione al rapporto fiduciario con lui intercorso”, annota la Guardia di Finanza in un’informativa agli atti.

I contratti fra la Struttura commissariale e “il cinese del Quadraro” – Grazie alla “moral suasion” operata da Benotti nei confronti di Arcuri, , secondo gli inquirenti fra il 26 marzo e il 15 aprile il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 ha stipulato tre contratti con altrettante società cinesi per la fornitura di mascherine: la Wenzhou Moon-Ray, la Wenzhou Light Industrial e la Loukai Trade, tutte formalmente con sede in Cina. Ma almeno due su tre nascondono dei “misteri” evidentemente sfuggiti alla Struttura commissariale nei giorni più drammatici dell’epidemia Covid. Innanzitutto la Wenzhou Light Industrial, già censita negli archivi Uif di Banca d’Italia per avere ricevuto, tra il 2011 e il 2014, “numerose rimesse in contante dall’Italia, per complessivi 5 milioni di euro”, per una società “beneficiaria di bonifici disposti da società italiane segnalate in contesti riconducibili alle frodi fiscali”. Poi c’è la Loukai Trade, la prima società a sottoscrivere, il 15 marzo 2020, il pre-contratto con Arcuri. La firma per la Loukai è di tale Xiao Lu Zhou, moglie convivente di Zhongcai Cai, detto “Marco”, residente in via Flavio Stilicone nel quartiere popolare del Quadraro a Roma. È “Marco” a tenere i conti delle spartizioni delle provvigioni fra il “gruppo Benotti” e a distribuirli man mano che arrivano i pagamenti dal Governo, come si apprende dalle e-mail agli atti del fascicolo.

Gli investigatori: “Mascherine acquistate anche a prezzi inferiori” – Nelle carte i pm rilevano che la Struttura commissariale abbia agito con alcune anomalie procedurali. Gli inquirenti evidenziano “l’informalità con la quale si è proceduto rispetto ad accordi che devono essere intercorsi tra le parti in gioco, prima del 10 marzo e dunque ben prima del lockdown nazionale, dichiarato il 9 marzo”. In quel momento “nessuna norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti”. Non solo. “Il primo contratto di fornitura è stato stipulato il 25 marzo – si legge – quando la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente”. In quel momento, però, “i facilitatori stavano tessendo le relazioni che avrebbero loro consentito i lauti guadagni”. Dalle indagini, “risulta” che il Governo italiano “abbia acquistato mascherine anche a prezzi inferiori” e “nello stesso periodo di tempo”, mentre “i voli di consegna siano avvenuti tra maggio e giugno 2020 quando l’emergenza sanitaria era in fase discendente”.

Gli oltre 1.200 contatti fra Arcuri e Benotti in 5 mesi – Per i pm, come detto, “la conclusione di quei contratti trova unico fondamento nella moral suasion operata da Benotti, sulla sola base del rapporto personale tra lo stesso ed il commissario Arcuri”. Fra gennaio e maggio sono stati 1.280 i contatti telefonici fra i due. I contatti telefonici fra Arcuri e Benotti si interrompono di colpo il 7 maggio. Benotti, intervistato su Rete 4 da Nicola Porro, dirà che “Arcuri mi aveva informato di approfondimenti da parte dei Servizi su tutta la questione”, circostanza smentita dal commissario. Il 21 ottobre – dunque diversi mesi dopo – Benotti incontra Mauro Bonaretti (come si vede nel video), magistrato della Corte dei Conti da maggio scorso, collaboratore di Arcuri nella Struttura commissariale. Il primo, intercettato, si rammarica di avere “organizzato due o tre cose per lui importanti che lui ha lasciato perdere”. Bonaretti, lo tranquillizza: “Mi ha detto (Arcuri, ndr) voglio evitare che Mario si sporca… mi ha detto di non farti vivo in questa fase, di lasciarlo un attimo… per evitare casini”. Ma, rilevano i pm, l’incontro “ha certamente riaperto un canale verso la struttura commissariale”, con una “nuova corrispondenza via email in corso con Antonio Fabbrocini, per una fornitura di guanti, con il previo consenso di Domenico”. Fiutando il nuovo affare, da Solis era arrivata una “aspettativa singolare quanto raccapricciante” che a novembre “esploda” cioè “vi sia il lockdown nazionale” perché, annotano gli inquirenti, “da questo si attende lucrosi affari”.

L’ipotesi iniziale di corruzione e l’attesa per l’archiviazione di Arcuri – Il fascicolo, aperto il 24 settembre dopo una segnalazione della Banca d’Italia datata 30 luglio 2020, era stato inizialmente iscritto per corruzione. Secondo i magistrati, al momento dell’avvio delle indagini, era “singolare che l’intermediario (in questo caso Tommasi, la figura di Benotti non era ancora emersa del tutto, ndr), il quale non intrattiene alcun rapporto formale con il Commissario, sia retribuito in maniera certamente anomala dal privato” e dunque l’ipotesi corruttiva era ben fondata. Dopo un mese e mezzo di intercettazioni, il 9 novembre, la Procura iscrive nel registro degli indagati per corruzione Arcuri e Fabbrocini. Qualcosa però sfugge al controllo degli inquirenti. Il 19 novembre La Verità pubblica in esclusiva la notizia della Sos di Bankitalia, e il 4 dicembre e esplode ufficialmente il bubbone: la Guardia di Finanza procede con le perquisizioni e i sequestri presso gli indagati. Il reato, a quel punto, era già stato “derubricato” in traffico di influenze illecite. La riqualificazione del capo d’imputazione, a quanto emerge dagli atti, era avvenuto il giorno prima, il 3 dicembre, con la contestuale richiesta di archiviazione nei confronti di Arcuri e Fabbrocini per “mancanza di elementi tesi a confermare l’ipotesi corruttiva”. Il gip non si è ancora espresso.

La raccomandata “riservata” di Arcuri a Prestipino – Fra il primo articolo della Verità e le prime acquisizioni della Guardia di Finanza, emerge un particolare di non poco conto. Il 24 novembre Arcuri invia al procuratore di Roma Prestipino una raccomandata “riservata personale”. Una lettera, scritta di suo pugno, a cui allega l’articolo firmato da Giacomo Amadori. “La drammaticità del momento – si legge nella lettera – mi impone di poter svolgere il compito che il Governo mi ha affidato nella serena consapevolezza di una corretta esecuzione delle disposizioni e delle direttive da me impartite”. Dunque, scrive il commissario “avverto il dovere di mettermi immediatamente a disposizione qualora ritenuto opportuno”. Ma Arcuri, a quanto risulta, non è mai stato sentito dalla Procura, nemmeno come persona informata sui fatti. In una nota di alcuni giorni fa, Arcuri e la struttura commissariale, hanno ricordato di essere stati “oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati” e “parte offesa” e per questo stanno valutando “la costituzione di parte civile in giudizio”.

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