Da anni oramai vediamo scorrere sempre le stesse tragiche immagini provenienti da Libia, rotta balcanica o Grecia. Immagini che ogni volta confermano come l’Europa non impari dai propri errori, incapace di mantenere fede agli impegni presi.

L’ultima occasione per denunciare questa miopia è offerta dal recente rapporto di Oxfam, che valuta l’impatto del rifiuto dei paesi Ue di ricollocare i richiedenti asilo dalle isole greche. A un mese dal quinto anniversario dell’accordo Eu-Turchia, il rapporto ci dice che gli Stati membri non hanno mostrato né solidarietà, né rispetto per gli impegni di ricollocare le persone, rifiutandosi di fatto di partecipare a uno sforzo comune. Solo un terzo dei 160.000 ricollocamenti da Italia e Grecia, concordati in sede Ue, ha avuto luogo nel triennio 2015-2017.

Ne deriva l’ennesima fotografia impietosa: dopo l’incendio del campo di Moria (lo scorso agosto), i paesi europei avevano promesso il trasferimento di 5.100 persone, ma ad oggi solo 2.050 hanno trovato una sistemazione altrove. Questo comportamento ha avuto come conseguenza quella di lasciare migliaia di persone bisognose di assistenza nelle isole greche, in alcuni casi mettendo in atto barriere burocratiche che mantengono separate intere famiglie.

La mancanza di condivisione delle responsabilità ha esercitato e continua ad esercitare una grande pressione sulle strutture greche, generando condizioni terribili e violazioni sistematiche dei diritti umani.

Con il sostegno dell’Ue, la Grecia ha recentemente apportato qualche miglioramento nella vita quotidiana di chi si trova bloccato nelle isole: il numero dei bagni nel campo di Mavrovouni – che ha sostituito quello di Moria a Lesbo – è rimasto all’incirca uno ogni 21 persone, mentre il numero di docce con acqua calda è cresciuto da uno per 7.600 persone a uno per 47. Tuttavia, siamo ancora lontani dai più elementari standard umanitari, permanendo condizioni che hanno un effetto drammatico sulla salute e sui diritti delle donne.

A livello più generale dobbiamo purtroppo constatare che le politiche messe sul tavolo non risolvono il problema delle condizioni di sovraffollamento in Grecia e, se e il nuovo patto sulla migrazione mira a bilanciare la condivisione delle responsabilità in tutta l’Ue, la realtà è che si reiterano politiche fallimentari del passato, con gli Stati membri che già ne mettono in dubbio l’obiettivo finale.

In Grecia, le politiche rielaborate e l’inazione degli Stati membri lasciano, nel migliore dei casi, le persone nel limbo, nel peggiore le ricacciano ai pericoli dai quali hanno cercato di fuggire. Il paese, sopraffatto da un arretrato di richieste di asilo, ha inasprito la sua posizione, facendo ricorso alla detenzione e rendendo difficilissimo l’accesso all’asilo. La pandemia, infine, ha messo in pausa la vita di quelle persone. Ha impedito alle famiglie di ricongiungersi e ha rallentato le procedure di richiesta di asilo a causa degli orari di apertura limitati dei servizi. Anche l’accesso al patrocinio a spese dello Stato è stato fortemente limitato.

Nel frattempo, il costo umano aumenta: una persona su cinque ha tentato il suicidio; le vittime di violenza sessuale o gli anziani sono detenuti senza motivo; aumenta il rischio di violenza sessuale e i bambini non ricevono alcuna istruzione. Le persone bloccate nell’inferno di Lesbo restano senza futuro. Questa la testimonianza di Barlin (nome di fantasia), che attualmente si trova in una detenzione amministrativa prolungata nell’isola di Kos: “I nostri diritti fondamentali di rifugiati sono calpestati, non siamo liberi e non sappiamo per quanto tempo questa condizione durerà. Stanno sostituendo i nostri nomi con un numero, trattandoci come se fossimo in prigione. Dipendiamo dal loro umore rispetto alla possibilità di vedere un medico e le persone più vulnerabili sono abbandonate”.

Quando finalmente l’Europa e gli Stati membri metteranno al centro delle loro politiche i diritti di Barlin e di tutti coloro che cercano sicurezza nel nostro continente? E l’Italia del nuovo governo Draghi saprà prendere una posizione chiara e netta o sarà bloccata dalla ricerca di equilibri interni tra visioni discordi?

Purtroppo dal brevissimo accenno alle politiche migratorie durante il suo discorso al Senato, sembra prendere quota la seconda ipotesi. Con una conferma sostanziale delle politiche di esternalizzazione delle frontiere attuate sino ad oggi da Italia e Europa.

Nulla su canali di ingresso regolari e politiche di integrazione; solo un breve accenno riguardo l’impegno ad una maggiore solidarietà tra gli stati membri e l’appello ad una politica europea dei rimpatri. Ci auguriamo tanto che non risulti essere la sineddoche delle politiche migratorie italiane, perché vorrebbe dire che si sono imposte le forze della conservazione dello status quo. Quelle che ci hanno portato a questo fallimento culturale e politico.

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