Che siate cresciuti rimpiangendo l’uscita di Peter Gabriel dai Genesis, o fischiettando una delle sue tante hit da solista, il sorriso sornione di Phil Collins è qualcosa che ha accompagnato intere generazioni. Artista cinico, poliedrico, trasversale o forse, molto più semplicemente, geniale. Non è da tutti, infatti, alzarsi da una batteria per impugnare un microfono: avendo dato prima ampia prova di saper fare bene entrambe le cose, e per larghi tratti contemporaneamente. Oggi, nel giorno in cui cadono i suoi 70 anni, è forse bene far pace col nostro cervello una volta per tutte, e riconoscere a Phil Collins il contributo, stratosferico, dato alla musica rock e pop nel corso di una carriera lunga quasi mezzo secolo.

Non è un caso, per niente, che i biglietti dell’ennesima reunion dei già citati Genesis siano andati polverizzati, lo scorso anno, nel giro di pochissime ore: sintomo del fatto che al di là dell’appartenenza di genere (musicale), la stima e l’attesa nei confronti dell’artista rimangono immutate. Così come pure il suo carattere, a dir poco testardo, che lo riporterà in autunno sul palco, stavolta seduto, dopo avere annunciato a più riprese l’addio alla musica per via di un intervento alla schiena e una brutta caduta.

Di lui ci era dato sapere che fosse al lavoro sul nuovo album di Adele ma le reticenze di quest’ultima devono avere portato Collins a capire, una volta di più, che a lui il ruolo di comprimario non va né stretto né largo. Proprio non calza. Trovarne un altro, che sia sopravvissuto oltre che a Gabriel ad un altro gigante come Steve Hackett, è cosa pressoché impossibile: lo sanno più di tutti i suoi compagni di band Mike Rutherford e Tony Banks, rimasti a loro volta inermi sul campo di battaglia, rei di avere pensato di poter portare avanti la baracca ingaggiando Ray Wilson. Uno che, se possibile, stava ai Genesis ancora meno di quanto certi fan della prima ora credano stia Collins.

Se come molti (non ultimo, Brian May dei Queen) sostengono sia compito di un artista ambire all’audience più vasto possibile, allora il buon Phil ancor prima che un musicista andrebbe considerato un artigiano della materia. Le sue canzoni sono lavorate come l’argilla, plasmate a dovere attraverso gli anni e le epoche, le più diverse, e caratterizzate tuttora da un’attualità spaventosa. Non sarebbe cosa malvagia se alle persone, oggi, mancasse anche la musica leggera (non solo il rock) di un tempo: quegli arrangiamenti, quegli interpreti, che hanno fatto scuola e suonano ancora irraggiungibili.

Ridatecelo, alla fine, il pop degli anni Ottanta: e anche questi, come quelli ancora precedenti, sarebbero tempi migliori.

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