“Raccontami come tu sai raccontarmi, con verità, senza tradirmi”. Questo era il desiderio di Alda Merini, e questo è accaduto: per le edizioni Acquaviva è uscito il libro testamento di Giuseppe D’Ambrosio Angelillo: Alda, 1500 pagine su Alda Merini, due volumi, la voce di Angelillo e quella di Alda fuse assieme.

Giuseppe incarna la voce di Alda. Badate bene: non è uscito per Mondadori o Einaudi o Feltrinelli, no. I grandi editori sono così piccoli. Giuseppe vendeva i suoi libri artigianali con la sua bancarella mobile, di solito si appostava davanti alla Mondadori di piazza Duomo: Davide contro Golia. Le vetrine assordanti e rutilanti della Mondadori, e gli occhi contadini di Giuseppe, le mani contadine di Giuseppe, e i suoi libri bianchi e puri, sfiorati dalla poesia e dall’amore.

Alda è stato scritto con la voce, così ci ha detto Lisa, è uscito fuori impetuosamente dalla bocca di Giuseppe, dalle sue corde vocali, tante cassette che poi sono state sbobinate con paziente follia amorosa da Maria Theresa Venezia, alla quale siamo tutti grati. E’ un Giuseppe D’Ambrosio Angelillo posseduto da Alda Merini, non è nemmeno un caso letterario, non si può usare questa sciocca espressione, non è nemmeno un evento: è un avvento. C’è qualcosa di religioso in
Alda. Non è il mondo dei morti che torna in vita per noi, non è così, sono i viventi che vengono nel nostro mondo di morti a parlarci con voce umana, di tutto l’umano che abbiamo perduto o accantonato per comodità, inerzia spirituale o viltà.

La parola vivente si trova solo nella poesia, non la trovi da nessuna parte se non nella poesia. Ma chi ha ancora nostalgia della parola? Incatramati in voci indistinte, nel caos rigido e sterile della pochade televisiva, storditi dalla chiacchiera, dal bla bla micidiale del nulla, svuotati di ogni linfa vitale, con parole morte in bocca, origami di putrefazione nella gola oscura, chi può dire di avere ancora nostalgia della parola vivente?

Ci volete scommettere? Questo libro venderà poche copie, pochissime copie, passerà inosservato come tutti i miracoli nudi che non si ammantano di clamori sterili e vacui, non voglio fare il profeta di sventura, mi limito ad osservare i miei “dissimili” per strada, nel gorgo della città, sui mezzi pubblici, con i volti assopiti sugli schermi dei cellulari, ma che volete? Pensate forse che questi organismi lubrificati dal niente compulsivo, pensate che abbiano nostalgia della parola poetica, della parola vivente? Giuseppe, Alda. Due voci incarnate per noi, dal mondo dei viventi.

Lisa, la consorte, non la vedova, perché non si può essere vedove di una voce vivente, Lisa si è fatta un tatuaggio sul braccio, lo ha fatto da sola, c’è il genio dell’amore in questo tatuaggio: Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, il nome per esteso, non un semplice Giuseppe, ma il nome per esteso, perché questo è stato il percorso terreno di un poeta: una firma che rivaleggia col firmamento.

I colossi dell’editoria si fanno polvere, si sfarinano al cospetto di una voce, di due voci unite per sempre in: Alda. Lo so, avete le bollette da pagare, sono tempi duri per tutti, lo so, ma io ci provo lo stesso, per ricevere Alda scrivete a questa mail: libriacquaviva@gmail.com, vi risponderà Lisa, la sua compagna di vita, sono 1500 pagine, due volumi, 50 euro in tutto. Lo so, lo so, non lo farete, il mondo dei morti è forte, fortissimo, vi occlude le arterie dello stupore, meglio andare in pizzeria con gli amici, virus permettendo. Per me una capricciosa, grazie.

A Lisa, ai cinque figli, ai gatti, al cane, alla foto di Giuseppe che respira tra le piante in una casa verde e profonda, dalle prospettive imprevedibili di specchi liquidi e regali, allo spumante bevuto assieme, alle foto di Franco Fergnani che portava il panettone e stava con voi a vivere, al silenzio che nutre la parola poetica, a tuo figlio Lisa, che è entrato, altissimo, e si è presentato: “Ciao, io sono Angelico”. Alla nostra gioia di essere usciti dalla vostra casa con il tesoro della parola vivente fra le nostre mani. Grazie.

E comunque anche noi andremo in pizzeria, come tutti, ma avremo qualcosa da dirci. Qualcosa di vero, non è forse così la poesia?

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