di Luca Pirisi, Gian Luca Atzori

All’indomani della Prima Guerra Mondiale e della pandemia di Spagnola, alla vigilia dei suoi trent’anni, il 21 gennaio 1921 Antonio Gramsci fondava il Partito Comunista. A cent’anni dalle sue riflessioni sulla questione meridionale, l’Italia deve ancora fare i conti con l’arretratezza del Sud e dei territori marginali, ancora più inasprita dalla pandemia. Per dare attuazione alle strategie europee e al Piano nazionale di ripresa e resilienza, è cruciale dare centralità al pensiero gramsciano e alle iniziative di rigenerazione territoriale promosse dalle nuove generazioni.

Dopo due anni di intensi negoziati, il 16 dicembre 2020 il Parlamento europeo ha approvato con larga maggioranza il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27 che stanzia 1.074 miliardi, a cui si aggiungeranno i 750 milioni di NextGenerationEu, per rispondere ai danni causati dalla pandemia e creare un’Europa più verde, digitale e inclusiva. Tra i diversi Paesi membri, l’Italia disporrà di un budget di oltre 300 miliardi (16% del totale) per l’attuazione del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). In linea con gli ambiti identificati dall’Unione, il Governo ha delineato uno schema basato su tre assi strategici (digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale) e altrettante priorità trasversali (donne, giovani e Sud).

Dentro tale matrice, urgente è la necessità di affrontare strutturalmente le profonde divergenze territoriali che attraversano il Paese. Come rilevato da numerosi indicatori internazionali, le regioni del Mezzogiorno continuano a risultare tra quelle meno sviluppate d’Europa in termini di Pil pro capite, occupazione giovanile e femminile, livello di istruzione, digital divide. Inoltre crescono le disuguaglianze tra centro e periferie: città e campagne deindustrializzate, aree urbane e aree interne, che rappresentano il 53% circa dei Comuni italiani, ospitano oltre 13.5 milioni di abitanti (23% popolazione) e occupano il 60% della superficie nazionale.

Una fragilità diffusa – acutizzatasi con il Covid – che da decenni non trova reale risoluzione. Da una parte per l’instabilità politica a più livelli, di cui lo psicodramma della crisi di governo è l’emblema. Dall’altra per le difficoltà di ministeri, Regioni ed enti locali nella gestione burocratica, finanziaria e partecipativa delle politiche di coesione europea. Come nel caso dell’ultima programmazione 2014-20, finanziata con 73,4 miliardi, di cui l’Italia a fine 2020 ha liquidato poco più del 40% delle risorse.

Se quindi è indubbia l’imprescindibilità delle strategie e delle risorse del Pnrr, altrettanto certa è l’esigenza di comprendere a fondo le radici della frattura tra Nord e Sud per attivare processi aperti, capaci di promuovere lo sviluppo dei suoi territori. In tale ottica, cogliendo l’occasione della celebrazione dei 130 anni dalla nascita di Antonio Gramsci e dei 100 anni dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia, tornano di grande utilità le sue riflessioni in relazione alla “questione meridionale” e raccolte nel 1966 in una pubblicazione degli Editori Riuniti.

Gramsci e i fondi di Next Generation Eu: la questione meridionale torna al centro

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