Giornata nera in Veneto sul fronte dei decessi Covid. Nelle ultime 24 ore sono morte 191 persone, un dato che probabilmente comprende anche decessi avvenuti qualche giorno prima, ma comunque costituisce il record negativo nella contabilità della pandemia. La situazione è grave, ma ai vertici della Regione si continua a minimizzare. Un giorno da solo non basta, ma sarebbero sufficienti i dati dall’1 al il 28 dicembre in Italia per indurre i leghisti veneti a una maggiore prudenza. Invece si ostinano a negare l’evidenza, ossia l’esistenza di un “caso Veneto”. E difendono a oltranza l’eccellenza di un sistema sanitario che esegue 40mila tamponi rapidi e 20mila tamponi molecolari in un giorno, per affermare che le percentuali fornite dal ministero della Sanità sono fuorvianti e penalizzano il Veneto, che proprio perché continua a fare più tamponi delle altre regioni risulta avere un numero di infetti esageratamente superiore.

I dati più aggiornati (riferiti al 28 dicembre) indicano un incremento giornaliero di positivi in Veneto pari a 2.782 unità, mentre la seconda regione è il Lazio (che si affida come il Veneto a molti test rapidi) con un aumento di 966 unità. Appena un terzo. Segue l’Emilia-Romagna con 750 nuovi casi. Se guardiamo ai decessi, nella stessa giornata sono stati 69 in Veneto, pari al 15,5% dei 445 morti in Italia. Una media decisamente superiore alla popolazione regionale (4 milioni 900mila abitanti, pari all’8,24 per cento di quella nazionale). Quindi la mortalità è quasi doppia. Ma se prendiamo il Lazio (5,8 milioni di abitanti, quasi un milione in più del Veneto) e la Puglia (4 milioni, uno in meno del Veneto) i rispettivi 47 morti equivalgono al 10,6%. Le altre regioni, in questa graduatoria tragica sono molto distanziate: la Lombardia è al 9,43 per cento (ma la popolazione è doppia del Veneto), l’Emilia-Romagna al 7 per cento dei decessi, pur avendo una popolazione di soltanto 400mila unità in meno rispetto al Veneto, la Campania (che ha un milione in più) è al 7,4 per cento. La Sicilia è al 6,3 per cento, la Toscana al 6,5 per cento.

Ovviamente i dati di un giorno sono solo indicativi di una tendenza. Ma che la struttura sanitaria veneta sia travolta dalla seconda ondata della grande pandemia è dimostrato dalla sequenza dei decessi riferita a tutto il mese (fino al 28) di dicembre, estrapolata dai dati forniti giornalmente dal ministero della Sanità. Il presidente Luca Zaia continua a dire che la sua regione è come una Ferrari, capace di sfornare migliaia di tamponi al giorno, mentre le altre strutture sono come una 500. Purtroppo per i veneti, i numeri dicono che questo non basta, perché alla fine, come in una guerra, sono i morti che si contano, non i proiettili che si sparano contro il nemico.

Finora, in dicembre il Veneto ha avuto 2.396 morti. La Lombardia 3.054, ma con una popolazione doppia. L’Emilia-Romagna ha registrato 1.771 decessi. Nella graduatoria (restando alle regioni più popolose) seguono il Piemonte con 1.565 morti, il Lazio con 1.209, la Campania con 1.046, la Toscana con 976, la Puglia con 911 e la Sicilia con 771. I numeri assoluti rischiano di essere fuorvianti, anche se risalta all’occhio che la Lombardia, se fosse ai livelli del Veneto, dovrebbe avere circa 4.500 decessi. Oppure che la Campania, pur con una popolazione superiore di un milione di abitanti, ha molto meno della metà dei decessi del Veneto. O che il Lazio, con la stessa differenza demografica, a dicembre ha avuto quasi la metà dei decessi.

Tradotte in numero di morti ogni 100mila abitanti, queste cifre dimostrano che in Veneto se ne sono registrati 48,8. Di più che in Emilia-Romagna (39,6 decessi) e in Piemonte (circa 36). Molti di più della tanto bistrattata Lombardia che ne ha avuto 30,2 ogni 100mila abitanti, o di Toscana (26,2), Puglia (22,7), Lazio (20,6), Campania (18,08) e Sicilia (15,5).

La recrudescenza in Veneto è quindi un dato incontrovertibile, che solo i vertici della Regione sembrano non vedere. Sonia Brescacin (gruppo Zaia Presidente) che è ai vertici della commissione Sanità, ha dichiarato: “È per il fatto di fare tanti tamponi giornalieri che il numero di positivi in Veneto è alto. Perché li cerchiamo e in modo mirato. La sinistra la smetta di gettare fango sulla sanità veneta, così non fa il bene dei cittadini e della loro salute”.

Una prova ulteriore dell’escalation è nel numero di posti di terapie intensive occupate. Il 25 novembre, quando in Italia hanno raggiunto il punto massimo con 3.848 unità, il Veneto aveva 324 pazienti in unità critica, pari all’8,4 per cento del totale (in linea con la popolazione). Ma il 10 dicembre con 358 posti occupati su 3.291 in Italia era già al 10,9 per cento, il 20 dicembre con 342 su 2.743 totali era al 12,5 per cento, il 28 dicembre con 373 terapie intensive in Veneto su un totale di 2.565 è balzata al 14.5 per cento.

Nella conferenza stampa del 29 dicembre (Zaia era per la prima volta assente), il dottor Luciano Flor, direttore generale della sanità veneta ha dichiarato: “I dati di mortalità si valutano sulla popolazione e sul numero di malati. Un numero da solo non è un dato certo. Il dato di un giorno non è un indicatore, serve un mese e deve essere rapportato a ricoverati, ammalati, popolazione eccetera. Il dato di mortalità dell’alta Italia è più alto, ad esempio di quella del Sud Italia”. E il Veneto? “Il dato di mortalità del Veneto è abbastanza allineato con le altre regioni dell’alta Italia”.

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