E’ difficile pensare agli ultimi istanti di vita di Francesca e Pietro, 15 e 13 anni, alla loro fuga disperata conclusa davanti alla porta di casa sbarrata da un chiavistello. E’ difficile pensare a due ragazzi, poco più che bambini, che cercano di salvarsi la vita e di sottrarsi all’odio cieco e freddo del padre, Alessandro Pontin, che li colpisce per vendicarsi della ex moglie. Da quanto tempo Francesca e Pietro erano diventati ostaggi agli occhi di quell’uomo che con fatica chiamiamo padre?

Negli ultimi sei mesi, cinque uomini hanno scaricato il loro odio verso le compagne o ex compagne colpendo anche i figli: bambini piccoli o ragazzi che si affacciavano all’adolescenza svelando il lato oscuro degli uomini che trasforma le relazioni affettive in un campo di battaglia dove l’unico obiettivo è vincere sulla compagna, uccidendola o uccidendo i figli.

Il 29 giugno scorso Mario Bressi a Magno, uccide Elena e Diego, di 12 anni, soffocandoli, poi si getta da un viadotto; il 21 settembre a Rivara, Claudio Baima Poma spara al figlio Andrea di 11 anni eppoi si suicida, usando la stessa pistola; il 9 novembre scorso a Carignano, Alberto Accastello stermina la famiglia con una pistola. Uccide la moglie Barbara Gargano e i figli, Alessandro e Aurora, di appena 3 anni.

Il giorno dopo l’assassinio di Francesca e Pietro, un uomo di 53 anni si è suicidato davanti agli occhi della figlia di appena sei anni, durante una videochiamata. La bimba è salva solo perché da giorni era in una struttura protetta insieme alla madre e ai fratelli. Sarebbe opportuno monitorare i dati per verificare se questi crimini sono in aumento.

Spesso gli uomini che uccidono i figli sono già violenti durante il matrimonio o sono stati denunciati o condannati per maltrattamenti. Non solo la violenza fisica ma anche la violenza psicologica e il controllo sono un campanello d’allarme che dovrebbe indurre giudici e forze dell’ordine a valutare adeguatamente il rischio di esiti letali per donne e bambini. Invece sono in aumento le denunce pubbliche da parte di donne che raccontano di non essere credute dopo aver denunciato violenze uno dei motivi è la confusione tra violenza e conflittualità o la banalizzazione del maltrattamento.

Ho già più volte scritto di inadeguatezza di magistrati che non sono formati sulle dinamiche della violenza e di consulenti tecnici d’ufficio, orientati dal costrutto ascientifico della alienazione parentale, che ignorano violenze e affidano i figli a maltrattanti. La legge 54 del 2006, che ha introdotto l’affido condiviso, era stata pensata per coinvolgere maggiormente i padri nella cura dei figli ma è diventata la restaurazione di una sorta di patria potestà, dove il possesso dei figli conta più della qualità della relazione. A mio parere, la bigenitorialità è diventata un dogma da rispettare anche se il padre è violento, condannato per maltrattamenti, abusante. La legge sull’affido condiviso va modificata per impedire che donne e bambini vittime di violenza escano dall’inferno della violenza per essere rivittimizzate nei luoghi che dovrebbero garantire i loro diritti. Non sono credute e spesso sono costrette a portare i figli all’ex che hanno denunciato per garantirgli “l’accesso ai figli”: così viene definita la relazione col padre, come se i figli fossero uno spazio da occupare. Tutto questo a prescindere dalle inadeguatezze o da responsabilità paterne per comportamenti violenti.

Quando una donna viene uccisa o sono uccisi figli per vendetta, è necessario capire se ci sono state lacune ed errori di valutazione da parte delle istituzioni. Dal letto dell’ospedale dove è stata ricoverata dopo l’assassinio dei figli, Roberta Calzarotto, ha dichiarato: “Era un violento, per questo mi sono separata dopo il matrimonio; l’ho denunciato, ma nessuno mi ha creduto“. C’era stata la denuncia di un maltrattamento? Che cosa aveva deciso il giudice durante la separazione? C’era stata una Ctu? Se c’erano violenze perché non erano state disposte visite vigilate? Sono domande che meriterebbero risposte.

La Commissione sul Femminicidio presieduta dalla senatrice Valeria Valente, sta conducendo da mesi due inchieste: una sui femminicidi, l’altra sugli affidamenti dei figli a uomini denunciati o condannati per violenza.

Francesca e Pietro erano due adolescenti, uccisi domenica in provincia di Padova dal loro papà, un uomo separato dalla…

Pubblicato da Valeria Valente su Martedì 22 dicembre 2020

Conosceremo l’esito in primavera e potremo capire meglio che cosa sta accadendo in un Paese sottoposto a sorveglianza vigilata dal Comitato del Consiglio d’Europa. A quattro anni dalla condanna della Corte di Strasburgo per il caso Talpis, l’Italia è stata nuovamente bocciata perché responsabile di non intervenire adeguatamente per garantire alle donne vittime di violenza l’accesso alla giustizia, mentre il Grevio – l’organismo che verifica la corretta applicazione della Convenzione di Istanbul – nel rapporto del 2020 ha stigmatizzato pregiudizi e stereotipi sessisti nei tribunali.

Ci sono giudici coscienziosi che tutelano i diritti di donne e dei bambini ma ci sono troppi magistrati che dentro le loro aule di giustizia non rispettano la Convenzione di Istanbul, non garantendo così i diritti delle vittime di violenza familiare. Tutto questo deve finire.

@nadiesdaa

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