Stiamo per uscire da un anno che ci ha messo, e ci sta mettendo, a dura prova, come individui e come comunità. Il 2020 è ormai già entrato nella Storia come l’anno della pandemia globale Covid-19, come il periodo che il nostro presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha definito come la crisi più difficile per l’Italia dalla seconda guerra mondiale. Anche lo stesso capo dello Stato, Sergio Mattarella, durante il suo discorso per la commemorazione delle vittime delle Fosse Ardeatine lo scorso marzo, durante i momenti più bui del lockdown nazionale, ha paragonato l’emergenza sanitaria al conflitto mondiale, affermando che per rinascere saremmo dovuti essere capaci come Nazione di quella stessa unità di cui siamo stati capaci negli anni dolorosi del secondo dopoguerra.

Un termine di paragone che ci dà l’idea della portata epocale della crisi che stiamo attraversando. Bisogna però dire che un conto è l’uso, più che legittimo, del dato storico, altra cosa è l’abuso dell’evocazione del tòpos della guerra nella vita quotidiana.

E in effetti è proprio una terminologia bellica che ha segnato il racconto di questa pandemia: “la guerra contro il nemico invisibile” con medici e infermieri a “combattere in trincea” nell’attesa di trovare “l’arma efficace” contro il virus, e così via. Riflettendoci ora, non è stato un linguaggio efficace e benefico per descrivere (e far percepire) a noi stessi e agli altri una realtà già di per sé fortemente drammatica, proprio mentre metteva a dura prova la nostra tenuta emotiva.

Non possiamo cambiare i fatti, ma possiamo scegliere come rispondere ad essi. Allora intanto accogliamo la realtà, anche nei suoi tratti più duri, parliamoci bene senza esacerbarla ulteriormente e poi diamo una risposta in grado di valutare i margini di miglioramento e in base a questi formulare, realisticamente appunto, delle proposte concrete. Questo credo sia il miglior modo per reagire alla crisi, anche esistenziale, di questi tempi difficili: accettare le difficoltà e formulare soluzioni con tenacia e gentilezza, anziché contrapporsi e combattere con maggiore dolore e dispendio di energie.

Alla luce di quanto vissuto, una delle riflessioni immediate, fatta a caldo nei mesi più duri della pandemia, tra l’altro proprio dalle colonne de Il Fatto Quotidiano in una lettera aperta al Governo Conte, ha riguardato ovviamente la sanità pubblica e la necessità di ridarle il giusto valore, toglierne la gestione alle Regioni e riportarla in capo allo Stato nazionale, perché è inaccettabile che ci siano territori di serie A e di serie B nella tutela dei diritto alla salute.

Poi la crisi economica e sociale ha richiesto un ulteriore tipo di riflessione, dalla necessità di potenziare il Reddito di Cittadinanza a quella di istituire un Reddito Universale. E così proseguendo con il ripensamento di tutti i settori strategici, la gestione dei Beni Comuni e dei servizi pubblici essenziali del nostro Paese: dalla Sanità all’Ambiente, dai Trasporti alle Infrastrutture strategiche fino alle Politiche Abitative.

Sin dall’inizio ho parlato di come il termine “crisi” (dal greco krisis che significa “scelta”) racchiuda in sé la chiave della spinta al cambiamento, perché è proprio grazie ai momenti di crisi che siamo costretti a pensare in modo diverso dagli schemi abituali e dai soliti automatismi e quindi a fare una scelta. Questo è il momento adatto per chiederci, e conseguentemente scegliere, qual è il tipo di Paese in cui vogliamo vivere, per co-creare insieme la società che abbiamo scelto.

Nei prossimi giorni proverò a ridisegnare l’#ItaliaCheVerrà. Seguitemi sui miei canali social per rimanere aggiornati e partecipare!

FB: @RobertaLombardiPortavoce

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