L’Italia può tornare al voto. Il consiglio dei ministri di venerdì sera, oltre ad approvare il nuovo decreto Covid che ha fissato le restrizioni per le feste natalizie, ha dato il via libera definitivo alla riforma dei collegi elettorali, rimuovendo ogni ostacolo all’eventuale scioglimento delle Camere. Dopo che al referendum sul taglio degli eletti ha vinto il Sì, infatti, era necessario ridisegnare i collegi per adeguarli al numero di seggi che ci saranno nel prossimo Parlamento (600 e non più 945). La nuova mappa politica del Paese è stata elaborata da una commissione tecnica presieduta dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, in modo tale da garantire la massima neutralità. Il primo ok al decreto legislativo è arrivato a fine novembre, quando il governo l’ha approvato senza fare alcuna modifica. Poi la palla è passata alle commissioni di Camera e Senato, i cui membri hanno fatto solo alcuni rilievi relativi a tre collegi del Lazio e alla tutela della minoranza slovena in Friuli. E ora che il decreto sta per essere pubblicato in Gazzetta ufficiale, l’iter può dirsi concluso. Qualora nelle prossime settimane il governo Conte dovesse cadere, quindi, e in Parlamento non dovesse spuntare alcuna nuova maggioranza, il capo dello Stato Sergio Mattarella potrebbe sciogliere immediatamente le Camere, riportando l’Italia alle urne a tre anni dalle ultime elezioni.

I nuovi collegi si basano sulla legge elettorale attualmente in vigore, cioè il Rosatellum Ter, ma dovranno essere ulteriormente modificati se le trattative tra Pd, M5s e le altre forze di maggioranza per un nuovo sistema elettorale dovessero andare in porto. Come già sperimentato nel marzo 2018, il Rosatellum prevede che il 36% dei seggi venga assegnato con un sistema maggioritario (collegi uninominali in cui viene eletto solo il candidato più votato), mentre il 64% viene ripartito proporzionalmente nell’ambito di collegi plurinominali (i partiti presentano un listino bloccato di candidati in ogni collegio e i seggi vengono distribuiti a ciascuna forza in base ai voti ricevuti). Con la riduzione dei parlamentari da 945 a 600 (400+200) votata dai cittadini lo scorso settembre, i collegi devono quindi essere ridotti allo stesso modo. Per quanto riguarda Montecitorio i deputati eletti nei collegi plurinominali (cioè con il proporzionale) passano da 386 a 245, mentre quelli eletti con il maggioritario da 232 a 147. Da 12 a 8 i parlamentari eletti all’estero. A Palazzo Madama i numeri calano ancora di più: si scende da 193 a 122 senatori eletti nei plurinominali e da 116 a 74 negli uninominali. Da 6 a 4 i senatori scelti dagli italiani che vivono all’estero.

La distribuzione territoriale è stata decisa dalla commissione di esperti sulla base di una serie di criteri, come la percentuale di popolazione media compresa in ciascun collegio (non oltre il 20% in più o in meno rispetto agli altri) e la distribuzione geografica: si è cercato di favorire il più possibile l’integrità delle unità amministrative (comuni, province e città metropolitane), così come la continuità del territorio e le minoranze linguistiche. Il tutto tenendo conto dell’accessibilità viaria/ferroviaria dei comuni inseriti in ciascun collegio e le eventuali “discontinuità morfologiche”. Solo nel caso delle 6 grandi aree metropolitane del Paese – Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo – visto l’alto tasso di popolazione, la commissione tecnica è stata costretta a suddividerle al loro interno. Torino, Genova, Palermo e Napoli potranno contare su due collegi uninominali, tre a Milano. La Capitale è un caso a sé: i quartieri sono stati raggruppati in 7 collegi uninominali, a cui si aggiungono 3 maxi collegi per il proporzionale.

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