Voglio partire dalla coda chilometrica che si è creata quattro giorni fa a Milano per poter avere un pasto caldo, dopo ore di fila, a pochi passi dallo shopping sfrenato che si stava consumando in centro, un segno tangibile della crisi prodotta dalla quarantena per contenere la pandemia. Sono aumentate le difficoltà delle persone e le persone in difficoltà.

Per capire la portata di questa crisi occorre leggere il contesto globale, fatto di diverse realtà socioeconomiche. L’impronta che accomuna tutte queste realtà è il consumo, un’economia basata sul consumo, che rende disponibili a tutti e a prezzi accessibili una miriade di oggetti dall’uso più disparato. Il fatto è che stiamo divorando la Terra, nel senso letterale del termine. Inoltre il sistema economico che regola tutto l’apparato è costruito in maniera tale da produrre una disparità economico-sociale enorme, se si pensa che l’1% della popolazione possiede quanto il restante 99% della popolazione. La crisi pandemica non ha fatto altro che acuire questa disparità perché ha arricchito i 2153 Paperoni e contemporaneamente impoverito tutti gli altri.

Un giusto sistema dovrebbe ricompensare il lavoro e non la ricchezza, invece tutte le persone sono letteralmente schiavizzate dal mercato del lavoro. I principali azionisti di un qualunque settore, solitamente non più di 5 o 6, percepiscono dividendi così alti che un terzo di questa cifra sarebbe sufficiente a garantire un salario dignitoso a milioni di persone, sufficiente a evitare l’umiliazione di fare ore di fila solo per avere un tozzo di pane e una minestra.

Quello che si è distrutto è il lavoro, non la ricchezza, che è rimasta intatta.

Passata la pandemia, siamo sicuri che tutto andrà meglio? Ci ributteremo nel lavoro per guadagnare due soldi e comprare oggetti superflui, senza svoltare nella nostra vita, ma soprattutto danneggiando il pianeta e la nostra futura esistenza.

L’insegnamento che il Covid dà è che non basta il buonsenso, ma occorrono disposizioni di legge per evitare tanti morti e per avere un comportamento adeguato, di protezione e salvaguardia del prossimo. Il semplice buonsenso sfocia nell’anarchia decisionale, quindi non mi aspetto il buonsenso da questo 1%.

Inoltre, se la crisi si dovesse prolungare per un periodo di tempo indefinito, anche questo 1% incontrerebbe difficoltà arrivando a favorire un cambio di paradigma come fu al tempo della peste nera del 1348 che ha determinato un cambio dei modelli culturali, con la differenza che nel ‘300 sono stati i morti per malattia e oggi potrebbero essere i morti economici per mancanza di lavoro a determinare questo cambio.

I primi segni di una crisi di solvibilità che potrebbe diventare inarrestabile sono stati denunciati da Mario Draghi che ha affermato che le autorità devono agire prontamente. Voglio dire che ora bisogna studiare per trovare nuovi modelli socioeconomici, rispettosi dell’ambiente e della popolazione, senza aspettare i morti di una crisi senza ritorno.

Si sta tamponando la situazione con le associazioni di volontariato che danno un sostegno alle persone bisognose. L’aiuto arriva anche con il reddito di cittadinanza. E meno male che esistono queste possibilità, ma sono strumenti incapaci di raddrizzare la stortura economica che stiamo vivendo trasformandosi in palliativi.

È ora che la politica prenda coraggio e cominci a pensare di costruire alternative tracciando una nuova rotta e non semplicemente governando la barca nella tempesta. Gli strumenti per il cambiamento li abbiamo: abbiamo computer, cellulari, la moneta elettronica, mezzi, voglia di lavorare e di migliorare, siamo tutti connessi. Abbiamo contro chi vuole difendere i propri interessi e il proprio potere economico costituito dal denaro accumulato sul lavoro e sulla pelle degli altri. Occorre solo tracciare una via, avere la volontà di cercarla e la capacità di trovarla e farla accettare a tutti, per un mondo migliore.

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