Xawara – il cammino mortale del Covid-19 e la negligenza del governo nel territorio yanomami. È questo il titolo di un nuovo, clamoroso rapporto appena diffuso che denuncia la crisi umanitaria in rapida espansione all’interno del più grande territorio indigeno del Brasile, casa degli Yanomami e degli Ye’kwana. Il rapporto è stato redatto dalle organizzazioni indigene stesse insieme a un gruppo di ricercatori appartenenti alla Rete Pro-Yanomami e Ye’kwana.

“I popoli Yanomami e Ye’kwana, che stanno affrontando una pericolosa miscela di attività minerarie, malaria e Covid-19, sono stati abbandonati a loro stessi” si legge nel rapporto. A permettere la rapida diffusione del coronavirus sono la negligenza e la complicità del governo rispetto alla continua invasione e distruzione di ampie porzioni del territorio da parte dei cercatori d’oro illegali. Per i 27.000 Yanomami e Ye’kwana che vivono nell’area, le conseguenze sono devastanti.

Per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale su quanto sta accadendo, gli Yanomami hanno anche lanciato un monito in un video di grande impatto. “Continuate a portare maledizioni e malattie agli Yanomami… ancora una volta noi ne stiamo morendo, e tutta la terra indigena viene ridotta a cenere e fango”, denunciano.

Sono numerosi gli episodi – elencati nel rapporto – di negligenza e abuso, i casi di Covid-19 sono ampiamente sottostimati (in alcune zone non vengono neppure quantificati) e pochi sono i test diagnostici effettuati (meno del 4,7% della popolazione totale nel territorio è stata testata) mentre continuano a mancare farmaci base e personale medico. Yanomami e Ye’kwana denunciano che oltre 10.000 persone, un terzo della popolazione indigena totale del territorio yanomami, sono già state esposte al Covid-19: nel solo periodo compreso tra agosto e ottobre, i casi confermati sono balzati da 335 a 1202.

Nelle tre regioni con la più alta concentrazione di miniere illegali, il coronavirus è dilagante, ed è stato importato dagli stessi minatori. Nel territorio yanomami abitano anche alcuni gruppi incontattati, che sono tra i popoli più vulnerabili al mondo: se dovessero entrare in contatto con qualcuno dall’esterno, si troverebbero esposti a rischi estremi.

Già prima che la pandemia prendesse piede molti Yanomami erano fortemente debilitati da malattie come la malaria, la cui incidenza è quadruplicata negli ultimi 5 anni sempre a causa delle invasioni: questo fa sì che abbiano ancora meno difese per combattere il coronavirus.

“Non dovevamo morire per questo, per una brutta malattia […] Eppure adesso sta succedendo, i sintomi da Covid-19 sono in aumento, la malattia avanza” denuncia Francisco Yanomami dalla regione del Marauiá. “Noi cosa possiamo fare? Come facciamo a capire se è davvero Covid-19? Come possiamo sapere se stiamo morendo di Covid-19? Dobbiamo sapere quale malattia ci sta uccidendo”.

Le attività minerarie illegali non sono solo pericolose sul fronte sanitario, ma anche su quello ambientale: solo tra gennaio e settembre 2020 si è registrato un aumento del 20% del degrado ambientale, a danno della foresta amazzonica.

“Ci siamo ammalati tutti. La nostra foresta si è ammalata. È la pista di atterraggio dei minatori, perché lì atterrano molti aerei. Quando ne arriva uno, scendono molte persone, e con gli aerei è arrivata anche questa malattia! È un morbo molto forte!” racconta una donna yanomami di Kanayau, una delle zone più colpite dall’attività mineraria illegale.

Xawara è una parola yanomami che significa “epidemia”: è associata ai fumi emanati dai macchinari usati da chi viene dall’esterno, in particolar modo agli strumenti per il dragaggio utilizzati dai cercatori d’oro, ai motori di barche ed aerei e al vapore di mercurio rilasciato durante la lavorazione dell’oro. “Chiamiamo xawara il morbillo, l’influenza, la malaria, la tubercolosi e tutte quelle malattie dei Bianchi che ci uccidono e divorano le nostre carni” spiega Davi Kopenawa, sciamano e leader Yanomami.

Particolarmente scioccante è il caso della “sparizione” di tre piccoli bambini Yanomami, morti per sospetto Covid-19. Dopo una serie di proteste pubbliche, è stato reso noto che i loro corpi erano stati seppelliti in un cimitero di Boa Vista, senza che i genitori ne fossero a conoscenza o avessero dato il loro consenso.

All’interno del rapporto, l’antropologo Bruce Albert racconta il tormento e il dolore delle famiglie yanomami che le autorità hanno tenuto all’oscuro della morte dei loro cari, e alle quali è stata negata la possibilità di organizzare i riti funebri per la cremazione.

Albert traccia un parallelo tra la profanazione degli Yanomami morti per Covid-19 e le sparizioni degli oppositori politici durante la dittatura militare in Brasile. “Impossessarsi della morte altrui”, scrive Bruce Albert, “attuare una damnatio memoriae e negare alle famiglie il diritto al lutto è sempre stato il marchio dello stadio supremo della barbarie, basata sul disprezzo e la negazione dell’Altro, in termini etnici e/o politici”.

Di fronte alla negligenza criminale perpetrata dal governo, le organizzazioni yanomami e ye’kwana chiedono l’immediata rimozione degli invasori dalle loro terre, l’implementazione di un piano di emergenza per contrastare il Covid-19 e un programma per sradicare la malaria. Gli indigeni hanno lanciato una petizione online, che ha già raccolto oltre 430.000 firme, per chiedere alle autorità di intervenire prima che sia troppo tardi.

Crediti fotografia di copertina: © Victor Moriyama/ISA

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