Archiviare Roberto Colaninno, l’ad di Unicredit Jean Pierre Mustier e altri 6 indagati nell’ambito del crac di Alitalia nell’era Etihad. Stralciata, e quindi ancora a rischio processo, la posizione degli altri 15, tra cui compaiono l’ex presidente della società Luca Cordero di Montezemolo, gli ex amministratori delegati Silvano Cassano e Cramer Ball e l’allora numero due di Etihad James Hogan. È questa la prima mossa della procura di Civitavecchia dopo la conclusione dell’inchiesta sulla gestione del vettore tra il 2015 e il 2017. Il 2 maggio 2017 Alitalia Sai finì infatti in amministrazione straordinaria dopo che i lavoratori bocciarono il preaccordo sugli esuberi e il cda sancì l’impossibilità di una ricapitalizzazione che gli azionisti di maggioranza Unicredit e Intesa Sanpaolo, insieme a Etihad che deteneva il 49%, avevano subordinato proprio al sì dei dipendenti al piano di tagli. Il successivo 11 maggio il Tribunale di Civitavecchia dichiarò l’azienda insolvente.

Dalla vicenda è nata una maxi-indagine che ha coinvolto tutti i vertici dell’epoca, oltre a diversi filoni paralleli tra cui quello del noto Air Force Renzi. Una delle principali contestazioni dei magistrati è quella di aver messo a bilancio false plusvalenze e false fatture per “far apparire falsamente rispettate le previsioni del piano industriale 2015-2018″ e raggiungere così l’obiettivo di “far sopravvivere artificiosamente la società”, ritardando la dichiarazione di insolvenza. I pm hanno ipotizzato a vario titolo i reati di bancarotta fraudolenta aggravata, false comunicazioni sociali e ostacolo alle funzioni di vigilanza. Ma ora per 8 indagati è stata chiesta l’archiviazione. Oltre a Colaninno e Mustier, che all’epoca facevano parte del Cda, nell’elenco compaiono l’ex vice-presidente di Confindustria Antonella Mansi, Enrico Laghi (consulente incaricato e amministratore di Midco), Giovanni Bisignani, il manager di Etihad James Denis Rigney e tre componenti del collegio sindacale: Alessandro Cortesi, Paolo Andrea Colombo e Corrado Gatti.

Per quanto riguarda la posizione di Mustier, difeso dallo studio legale Iannaccone e associati, una delle accuse riguardava il trasferimento nel 2015 alla neonata Alitalia-Sai del ramo Alitalia Loyalty, cioè la società che gestiva il programma MilleMiglia. I pm ipotizzavano che l’averne stimato il valore in 13 milioni fosse dovuto a un “irragionevole ed arbitrario uso della discrezionalità valutativa“, visto che il valore di quella partecipazione era iscritto nel bilancio di Alitalia Cai (la precedente “anima” del vettore) al 31 dicembre 2013 al valore di 150 milioni. Gli stessi magistrati, però, dopo aver analizzato le carte e ascoltate le posizioni della difesa, ora ritengono che non si ravvisano “elementi soggettivi e oggettivi” per il reato contestato a Mustier, Laghi, Montezemolo, Cramer Ball e altri.

Il cuore dell’inchiesta è però l’accusa di bancarotta collegata al falso in bilancio: i pm sono ancora convinti che le indicazioni “non veritiere e valutativamente false riportate nei bilanci” avevano lo scopo di rappresentare “una realtà contabile non corrispondente a quella reale“. Come la “falsa plusvalenza” derivante “dalla falsa fattura per 25,5 milioni” relativa alle “rotte in perdita Milano – Abu Dhabi e Venezia – Abu Dhabi“. Ma i membri del Cda e del collegio sindacale, scrive ora la procura, non avevano conoscenza “di segnali d’allarme” relativi allo stato finanziario dell’azienda. Il motivo? “Il management di Alitalia ha sempre offerto granitiche rassicurazioni sull’esistenza di un patrimonio netto positivo per l’attualità e anche in chiave prospettica”. Mustier, Laghi, Colaninno e altri, quindi – sostengono i magistrati – devono essere ritenuti “estranei” al reato di bancarotta.

Nella richiesta di archiviazione i pm tornano poi su un altro tema caldo dell’inchiesta, quello delle 5 coppie di slot (Fiumicino-Londra Heathrow) da 60 milioni che Alitalia-Cai avrebbe dovuto cedere a Etihad per poi affittarla a sua volta alla neonata Alitalia-Sai. Nel bilancio dell’azienda, però, secondo i pm fu inserita una “falsa plusvalenza di valore pari a 39 milioni”. La stessa procura ora sostiene che “va esclusa la responsabilità” di Cassano, Rigney, Bisignani, Colaninno e dei due sindaci coinvolti (Gatti e Cortesi). Resta da capire se e a chi ora i magistrati intendono contestare l’accaduto.

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