La politica è sempre stata presente nelle vicende della televisione, dagli anni Ottanta con la formazione del duopolio Rai-Mediaset e il conseguente conflitto di interessi la sua ingerenza è stata massima. Non è regredita e la vicenda Mediaset-Vivendi lo dimostra; vicenda sulla quale sembra sia intervenuto il governo francese a dimostrazione che l’attenzione della politica non è una prerogativa solo italiana.

La vicenda riguarda l’anomalo inserimento nel decreto Covid dell’emendamento che delega l’Autorità delle Comunicazioni (Agcom) a verificare se esistano le condizioni che un soggetto possa operare contemporaneamente nel settore dei media e nel settore delle telecomunicazioni e se ciò comporti effetti distorsivi o posizioni lesive del pluralismo. Questa scelta è conseguente alla sentenza della Corte di Giustizia Europea che, accogliendo un ricorso del gruppo francese Vivendi, aveva criticato la norma della legge “Gasparri” che pone limiti agli incroci fra i media e le telecomunicazioni.

Il gruppo francese, una vera media company, aveva (ed ha) una quota consistente in Tim (24% circa) e contemporaneamente aveva avviato una scalata (ostile) nei confronti di Mediaset (di cui possiede il 29% delle azioni), scalata di fatto bloccata dall’Agcom che ha congelato la quota che Vivendi ha su Mediaset, prendendo spunto proprio dalla legge Gasparri. La maggioranza affida ora di nuovo all’Agcom di verificare la situazione del mercato e le condizioni che si creerebbero se i limiti agli incroci venissero meno.

La vicenda ha avuto un forte impatto sulla politica, con la Lega che, pur astenendosi sul provvedimento, ha alluso ad una sorta di accordo segreto fra il governo e Berlusconi: il provvedimento sarebbe un “regalo” della maggioranza al quale Forza Italia ricambierebbe con una opposizione politica-parlamentare più morbida.

Già in un precedente intervento su questo argomento, sostenni che i giudici europei avrebbero dovuto meglio valutare la questione. Il limite agli incroci fra telecomunicazioni e media è l’unico aspetto positivo della legge Gasparri. E lo sostengo ancora, alla luce anche delle vicende sulla Rete Unica. È stata quindi una scelta saggia quella di affidare all’Agcom la verifica delle reali condizioni del mercato.

La televisione ha conosciuto, grazie al Covid, un’impennata notevole (+9%) di telespettatori. Questo incremento, che ha invertito una tendenza contraria che va avanti da anni, non ha però comportato benefici economici. È aumentato il pubblico, ma è diminuita la pubblicità (-15% nei primi nove mesi del 2020). Dal 2010 la Tv registra un continuo calo delle risorse; si salva la Rai, grazie al canone, si salva solo la piattaforma Netflix, grazie al successo delle sue serie (l’ultima è La giocatrice di scacchi), ma le Tv generaliste free sono in estrema difficoltà.

Nel caso di Mediaset, la situazione si aggrava considerando che l’azienda, dopo 40 anni dalla nascita di Canale 5, ha perso l’immagine creativa e innovativa. Programmi come Il Grande Fratello Vip lo testimoniano. C’è stato inoltre la débâcle di Mediaset sul segmento Premium, sul quale peraltro c’è un contenzioso ancora aperto con la stessa Vivendi. C’è da sperare che i due contenenti, Mediaset e Vivendi, trovino presto per un accordo per il bene delle due aziende.

Ritorniamo alla questione oggetto dell’articolo. Mediaset è un’impresa media ed è giusto che si possa liberamente giudicare la programmazione, la sua linea editoriale. Ma è anche una impresa, una impresa italiana in un settore, quello televisivo, dove la presenza estera è massiccia e come tale va tutelata. Pur nel rispetto delle regole europee sulla concorrenza, ritengo sia da preferire che Mediaset rimanga italiana.

D’altronde quando un’impresa italiana si affaccia in un altro paese, l’accoglienza non è sempre benevola. L’intreccio fra la politica e la Tv si attenuerà quando si giudicheranno le imprese media come aziende e non sulla base della loro linea editoriale, rimarcando che la competizione si svolga all’interno di regole che preservino il pluralismo. Pluralismo che verrebbe meno se si accettasse l’intreccio, senza limiti, fra media, telecomunicazioni e gestione della rete.