di Matteo Maria Macrì

Fin dall’inizio della pandemia, è parso chiaro a molti come oltre al risvolto tragico dal punto di vista umano e sociale, vi fosse un’enorme opportunità di cambiamento in positivo, fornita dall’effetto catalizzatore che l’epidemia ha generato, acuendo i disagi e i problemi che affliggono da tempo la società occidentale. Il governo, sulla spinta delle direttive dell’Unione europea, ha fissato una serie di obiettivi fondamentali da raggiungere nei prossimi anni: Green new deal, lotta alla disparità di genere, contrasto all’evasione fiscale, legge sul conflitto di interessi, investimenti su scuola, ricerca e sanità e tutta una serie di obbiettivi necessari per dare una scossa al nostro paese, da tempo sull’orlo del collasso, a causa delle politiche scellerate degli ultimi 30 anni. Ma questa è storia nota.

Quello che auspico è che dopo aver stilato un programma serio e lungimirante, non si cada nello storico errore di mettere in atto misure “tiepide”, in modo da non scontentare chi da sempre – in un modo o nell’altro – influenza le politiche di questo paese a scapito della stragrande maggioranza dei cittadini.

Perché se si vuole raggiungere gli ambiziosi traguardi che ci si pone, non si può pensare di farlo senza pestare i piedi a chi, da secoli, rema contro la visione di un mondo più equo, inclusivo, meritocratico, dove i diritti dei più deboli vengano tutelati davvero e la giustizia sociale non sia considerata come un concetto metafisico irrealizzabile.

Se non si vuole ancora una volta cadere nell’errore di misure che, sulla carta, sembrano ottime ma che poi non trovano reale applicazione per mancanza di risorse, bisogna partire da una riforma seria ed efficace del sistema tributario, come è stato ampiamente illustrato dagli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman nel loro libro Il trionfo dell’ingiustizia. Bisogna avviare un cambio di rotta deciso e mettere un freno all’accumulazione incontrollata di ricchezza da parte di pochissimi che genera ripercussioni catastrofiche su tutto il resto del mondo.

Una riforma fiscale seria, che gravi soprattutto sui redditi e sui patrimoni dei miliardari e meno sui lavoratori, consentirebbe di ridistribuire la ricchezza tra le varie parti sociali in modo equo e giusto, oltre che garantire le entrate necessarie nelle casse dello Stato per migliorare la vita di tutti i cittadini. La Spagna pare aver “timidamente” intrapreso questa strada.

Mi auguro che l’Italia possa cogliere l’occasione di essere pioniera di una riforma coraggiosa, aprendo la strada ad una cooperazione internazionale che ponga al centro il benessere e il futuro di tutti i cittadini, organizzando un sistema mondiale di contrasto all’evasione da parte delle multinazionali. Ma ci sarà da combattere affinché tutto questo non resti un sogno.

Purtroppo combattere non solo contro i tentativi più o meno subdoli delle lobby di mantenere lo status quo, ma anche e soprattutto combattere contro uno degli effetti collaterali più disastrosi della disuguaglianza e dell’emarginazione sociale: quello di aver generato un’ideologia tipicamente neoliberista e capitalista anche nelle classi sociali che dovrebbero per natura contrapporsi a questo modello culturale. Complice la debolezza delle istituzioni, l’inadeguatezza della pubblica istruzione e lo sviluppo parallelo di una cultura fondata sul culto dell’immagine e della ricchezza.

Oggi anche chi non ha ne i mezzi economici ne le risorse culturali, per farsi strada in una società che essenzialmente lo respinge, sposa la stessa ideologia che lo condanna. Direi che il dualismo tra repubblicani e democratici che vediamo oggi negli Usa, rispecchi abbastanza bene il fenomeno a livello europeo.

Dunque sembrerà banale, ma per cambiare davvero, serve rimettere al centro la cultura e la scuola, insieme ad una riforma fiscale che miri a ristabilire la giustizia sociale, senza la quale ogni alternativa visione del futuro apparirà vana.

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