Cinque anni fa, la sera del 13 novembre 2015, non ero a Parigi. Come tutti gli anni, ero tornato per festeggiare il compleanno in Italia. Stavo bevendo una birra in un bar del quartiere, quando mi arrivò il messaggio di un amico che non sentivo da mesi: “Stai bene?”.

Sul momento non mi sono preoccupato troppo: era un modo un po’ strano per farmi gli auguri, ma conoscevo bene il modo di comunicare un po’ peculiare di chi mi aveva scritto. Iniziai a preoccuparmi quando un’altra persona mi inviò un messaggio simile, quando arrivarono anche il terzo e il quarto messaggio dello stesso tenore, capii che era successo qualcosa.

Di quella sera ricordo ancora l’ansia di scoprire che cosa stesse succedendo nella città in cui vivevo da ormai un anno e poi l’angoscia, fino alle 4 del mattino, cercando di contattare tutti gli amici di Parigi per assicurarmi che nessuno si fosse trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Sono già passati cinque anni. Non è cambiato niente, è cambiato tutto. Il problema è ancora ben presente, come tragicamente dimostrato dall’uccisione del professore Samuel Paty lo scorso 16 ottobre.

Dovendo racchiudere in due righe un tema su cui politici, politologi e politicanti si scontrano da anni, ho l’impressione che siano rimaste immutate le cause che portano a simili tragedie.

Il governo non è ancora riuscito a risolvere la questione dell’emarginazione delle banlieues, in cui il radicalismo islamico trova terreno fertile. Al tempo stesso, alcune realtà del mondo musulmano faticano ancora a prendere in maniera netta le distanze dalle frange più fanatiche. Contemporaneamente, alcuni partiti continuano a restare appollaiati come avvoltoi, pronti a sfruttare l’onda emotiva di queste tragedie per promuovere un’agenda politica basata sull’esasperazione del conflitto.

La vita quotidiana è tornata a un’apparente normalità: ci sono meno militari nelle strade e non siamo più sottoposti a controlli prima di entrare in un supermercato o in un centro commerciale, come invece avveniva nei mesi successivi all’attentato del Bataclan. Qualcosa però è cambiato per sempre.

Me ne sono accorto un paio d’anni fa: ero con alcuni turisti nel mezzo della Place Saint-Michel, e notai un trolley abbandonato. Prima del 13 novembre 2015, probabilmente non ci avrei fatto troppo caso. Quel giorno invece, dopo aver essermi sincerato che la valigia non appartenesse a nessuno dei presenti e aver aspettato un tempo ragionevole, chiamai la polizia per segnalargliela. Arrivato un gran dispiegamento di forze, gli artificieri delimitarono il perimetro della piazza e fecero brillare il trolley, che saltò per aria con un boato, facendo volare per aria la biancheria e i vestiti contenuti all’interno. In quel momento compresi che non avrei più vissuto Parigi con la stessa innocenza.

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